Coronavirus, il prof. Mantovani: «Con l’influenza, sintomi più gravi. Due nemici in un polmone possono peggiorare la situazione»

Il direttore scientifico dell’Humanitas di Milano è uno dei più influenti scienziati italiani nel mondo. Preoccupato per gli annunci sul vaccino anti Covid entro l’anno, spiega a cosa può servire vaccinarsi contro l’influenza

Efficacia e sicurezza. Il professor Alberto Mantovani ripete più volte e di seguito, quasi come fosse una formula scientifica da ricordare, le due parole che più rappresentano gli obiettivi della corsa al vaccino anti Covid-19. Direttore scientifico dell’Humanitas e professore emerito dell’Humanitas University, viene considerato uno dei più influenti scienziati italiani del suo campo nel mondo.


E all’indomani del suo ultimo studio pubblicato sul New England, una delle riviste scientifiche più autorevoli, il prof. Mantovani spiega a Open i reali rischi dei prossimi mesi facendo, tra le altre cose, chiarezza sull’attendibilità dei diversi annunci di un vaccino entro fine 2020.


Prof. Mantovani, è notizia recente l’annuncio di Irbm, l’azienda di Pomezia che si occupa della produzione del vaccino di Oxford insieme ad Astrazeneca, della possibile distribuzione di 2 milioni di dosi entro l’anno. Alla luce dello stop revocato, possiamo davvero contarci?

«Mi piacerebbe molto, e ancora di più se si trattasse di quello che tutti stiamo cercando, un vaccino efficace e sicuro. E ripeto, efficace e sicuro».

Crede che il messaggio non sia abbastanza chiaro a qualcuno?

«All’inizio del nostro coinvolgimento nella pandemia, alla fine di febbraio e agli inizi di marzo, ho detto che saremmo stati fortunati se avremmo avuto il vaccino in 18 mesi. Non ho cambiato idea. Vedo che nel frattempo però si alternano annunci che non rispecchiano la realtà della sperimentazione. Ricordo anche che le promesse dei mesi addietro erano sulla possibilità di cominciare a somministrare il vaccino a inizio settembre. Ebbene, siamo a metà del mese e bisogna ancora terminare la fase 3 di sperimentazione».

La prospettiva di una salvezza per la fine dell’anno dunque è da scartare?

«Direi di sì e questi annunci che vengono dati su tempi miracolosi mi preoccupano non poco. Sono tempistiche, tra l’altro, che i ricercatori coinvolti non danno. Se guardiamo alle pubblicazioni di Lancet e New England sulle fasi di sperimentazione 1 e 2 dei tre vaccini cinesi, quello di Moderna degli Stati Uniti e quello di Oxford, nessuna di queste ha accennato a tempistiche simili. Nella letteratura scientifica non ci sono. Anthony Fauci stesso, una delle voci a mio parere più autorevoli sul campo, si è espresso con molta cautela.

Credo valga la pena ricordare che uno dei requisiti minimi per un vaccino, secondo uno standard dell’Oms, ma io direi secondo buon senso, è che dia protezione per sei mesi. Oggi al 15 di settembre, conosciamo dati che registrano non una protezione, ma una risposta immunitaria che dura fino al massimo di due mesi. Il 2021 è il riferimento più plausibile, spero di sbagliarmi o di essere smentito ma i fatti della scienza sono questi».

L’annuncio di Irbm arriva dopo uno stop ad Astrazeneca, revocato poi dalla commissione incaricata dopo tre giorni. Tempistiche fornite per tranquillizzare sulla buona riuscita?

«Su questo non mi pronuncio ma direi che la responsabilità è di chi gli annunci non solo li fa ma sente anche l’esigenza di farli, per motivi che non sappiamo. Quello che sicuramente mi chiedo è perché si contraddica Tony Fauci. E con lui la letteratura scientifica.

È bene ricordare che i grandi produttori di vaccini si sono esposti in proposito chiedendo alle agenzie regolatorie, quelle che approveranno i candidati vaccini, di non abbassare i criteri di validità. Non sono stati i medici ma le stesse aziende che dovranno produrli, dunque la questione è seria. Non possiamo dimenticare che non si tratta di vaccinare le decine di migliaia di persone che sono coinvolte nelle sperimentazioni cliniche, ma che la formula anti Covid sarà somministrata a centinaia di milioni, io spero miliardi, di persone. E di persone sane».

A proposito di tempi, ci avviciniamo all’ondata di influenza stagionale. Uno degli scenari possibili è la sovrapposizione delle due infezioni. Quanto è reale il rischio di una “combo” pericolosa per il peggioramento dei sintomi ?

«Reale e direi anche ragionevole. Non abbiamo degli studi che attualmente ce lo testimoniano ma è sensato pensare che la sovrapposizione di influenza e Covid-19 possa portare a dei sintomi rinforzati. E questo possiamo dirlo per due motivi.

Il primo è quello che sappiamo su altri virus. Contrarre il virus Zika (l’infezione trasmessa dalle zanzare) e contemporaneamente avere il virus Dengue (la febbre gialla) è peggio che averne uno solo a livello di sintomi. Non un’affermazione intuitiva ma un’evidenza scientifica con dei dati precisi che lo dimostrano».

Il secondo motivo?

«Il secondo è che il virus influenza è noto per sopprimere il sistema immunitario. Dei soggetti che perdiamo per influenza, in piccola parte muoiono per l’influenza in senso stretto, una grande parte li perdiamo per le infezioni che si sovrappongono. Motivo questo per cui continuo a invitare le persone a fare lo pneumococco. Avere due nemici in casa può peggiorare la situazione».

Quali sintomi in particolare potremmo vedere peggiorati? Abbiamo più volte sperimentato che nei contagiati l’apparato respiratorio è tra quelli più colpiti.

«Non posso fornire specificità su questo ma sappiamo che sia influenza che Covid-19 colpiscono diversi apparati. Sappiamo anche che il primo bersaglio senza dubbio è il polmone. Avere due nemici nei polmoni invece che uno è doppiamente pericoloso».

Il suo ultimo studio ci racconta di un allenamento che possiamo far fare alla nostra immunità innata attraverso le vaccinazioni. A questo proposito i bambini risulterebbero i migliori resistenti al virus: ha ragione Miozzo a dire che le scuole sono «i posti forse più sicuri di tutti»?

«La nostra prima linea di difesa, il cosiddetto sistema immunitario innato, che gestisce più del 90% dei cattivi incontri che facciamo, può essere allenato. Ci sono dati epidemiologici che ci dicono che alcuni vaccini costituiscono un buon allenamento, incluso il Covid-19. I dati raccolti dallo studio si riferiscono in particolare al vaccino contro la tubercolosi.

Per altri vaccini i dati sono meno forti ma quello che possiamo dire è che i vaccini costituiscono un buon allenamento per il sistema immunitario e certamente bloccano i nemici che lo sopprimono, è il caso del morbillo o dell’influenza. Per questo i bambini presentano una resistenza maggiore. La raccomandazione è quello di fare i tre vaccini consigliati, influenza, pneumococco ed erpes.

Quello che conta sono le scelte che si fanno in casa propria, mia nipote ha fatto il vaccino contro il virus del papilloma, le hanno offerto pneumococco e ha fatto anche quello. Facciamo i vaccini che ci vengono offerti. Ho 4 figli e 8 nipoti che sono tornati a scuola oggi, e nei giorni scorsi negli asili.

Il rientro nelle scuole dell’infanzia a Milano è stato fatto con grande serenità e con procedure efficaci. È ovvio che stiamo correndo dei rischi perché è aumentata l’attività lavorativa ma credo sia inevitabile doverli correre. Vorrei tanto riportare i miei nipoti allo stadio ma credo che la scuola abbia la precedenza su altre cose ed è inevitabilmente legata al futuro del Paese».

Verbali del Cts, come pensa sia stata gestita l’emergenza sanitaria?

«Ne parlavo proprio con Jules Hoffmann, il premio Nobel per la medicina che oggi incontrerà gli studenti dell’Humanitas University, le nostre speranze. Se dovessi guardare indietro al mio lavoro di medico mi direi che sì, avrei potuto fare di più. E lo dico sapendo di aver raggiunto per intensità livelli che mai ricordo durante la mia carriera. Come Paese è certo che potevamo fare di meglio, soprattutto sulla presa di coscienza iniziale di quello che stava accadendo.

Se abbiamo infatti una colpa di fondo è quella di non aver preso sul serio fino in fondo l’esperienza cinese e i segnali d’allarme che arrivavano dalla Cina. Ma gli altri Paesi, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, hanno in questo responsabilità ben più gravi. Non hanno preso sul serio quello che succedeva in una delle regioni più ricche, più avanzate e con un buon sistema sanitario del mondo, la Lombardia. Dunque potevamo far meglio senza dubbio ma il quadro virologico ci dice che il virus è circolato con due ondate pari a tsunami.

Due entrate indipendenti sono circolate da metà gennaio, non più un’ipotesi ma una certezza scientifica, e hanno reso quello dei primi mesi del 2020 il più grande esercizio di isolati virali del mondo, circolato in mezzo al mare in tempesta delle infezioni stagionali. Alla luce di questo credo dobbiamo essere soddisfatti di quello che nel complesso e a tutti i livelli il Paese è riuscito a fare. Altri hanno fatto peggio pur avendo avuto l’esempio».

Leggi anche: