“Lavoratori fragili”: come sarà il rientro al lavoro?

di Rossana Pennetta

La circolare congiunta del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del Ministero della Salute dello scorso 4 settembre ha fornito importanti chiarimenti circa il concetto di “fragilità” e rilevanti indicazioni operative su come gestire le prossime riaperture aziendali

In un contesto di generale ripartenza delle attività lavorative, le aziende sono chiamate ad attuare misure che garantiscano la prevenzione e protezione negli ambienti di lavoro, assicurando in particolar modo la tutela dei cosiddetti lavoratori fragili. Il Ministero della Salute e il Ministero del Lavoro (circolare congiunta 13/2020) hanno fornito importanti chiarimenti in ordine all’identificazione delle condizioni di “fragilità”, risolvendo le questioni rimaste incerte con la circolare del Ministero della Salute del 29 aprile scorso .


Viene chiarito, anzitutto, che il requisito dell’età – superiore a 55 anni – non è di per sé sufficiente a determinare una situazione di particolare fragilità del lavoratore: è infatti necessaria la contestuale presenza nell’individuo di patologie che possano aggravare l’eventuale infezione da Covid-19. È pertanto considerato “fragile” il lavoratore che presenta malattie cronico-degenerative a carico degli apparati cardiovascolari, dell’apparato respiratorio, renale, malattie dismetaboliche, patologie a carico del sistema immunitario o patologie oncologiche.


Cosa può fare il lavoratore affetto da particolari patologie?

Cosa può fare a questo punto un lavoratore che, affetto dalle patologie indicate, voglia tutelare la propria posizione all’interno dell’ambiente lavorativo? Il lavoratore, munito della documentazione che attesta la sua patologia, può richiedere al datore di lavoro l’attivazione di adeguate misure di sorveglianza sanitaria e, in particolare, una visita dal medico competente nominato dall’azienda. 

Anche nelle ipotesi in cui le strutture non siano tenute alla nomina del medico competente (ad es. le scuole), il lavoratore avrà comunque la possibilità di richiedere l’attivazione di misure di sorveglianza sanitaria e potrà infatti ottenere una visita medica presso l’INAIL, presso le ASL oppure presso i dipartimenti di medicina delle università, ferma restando in ogni caso la possibilità di una visita presso il medico competente nominato dall’azienda.

Quali sono i doveri del datore di lavoro?

Il datore di lavoro deve fornire al medico competente una dettagliata descrizione della mansione svolta dal lavoratore e dell’ambiente di lavoro dove presta l’attività, nonché le informazioni relative alle misure di prevenzione e protezione adottate per mitigare il rischio da contagio Covid-19. Punto nodale di tale procedimento è proprio la valutazione effettuata dal medico competente, chiamato a esprimere un giudizio di idoneità alla mansione del lavoratore richiedente e a fornire indicazioni per l’adozione delle soluzioni maggiormente cautelative per la salute dello stesso.

L’accertata inidoneità alla prestazione di lavoro fa sorgere in capo all’azienda l’obbligo di cercare soluzioni organizzative alternative, al fine di garantire al dipendente la conservazione del posto di lavoro: si può così ipotizzare il ricorso allo strumento dello smart working o anche l’assegnazione al lavoratore fragile di mansioni compatibili con il suo stato di salute. Le aziende dovranno in ogni caso garantire il ripristino delle visite mediche previste dal Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (D. Lgs. 81/2008), nonché un’organizzazione delle stesse nel pieno rispetto delle disposizioni anti-contagio.

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