Caos vaccini per l’influenza in Lombardia, la rabbia dei medici: «Ci costringono a scegliere chi proteggere e chi no» – L’intervista

Roberto Rossi, presidente dell’Ordine di Milano: «Il risparmio a tutti i costi non è una strategia che la Lombardia può permettersi. Per mesi non siamo stati ascoltati»

«Allora dottore quando arriva il vaccino?», il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, dott. Roberto Rossi, racconta il caos che in questi giorni in Lombardia operatori sanitari e pazienti stanno vivendo per la drammatica assenza di vaccini anti-influenzali in piena pandemia di Coronavirus. Sono giovani e anziani a chiedere insistentemente notizie sulla fornitura di dosi, ma per ora quello che il dott. Rossi e tutti i medici lombardi sono in grado di rispondere è ben poco, «e non senza molto imbarazzo», come confessa ad Open lo stesso presidente.


Presidente, il milione e mezzo di vaccini anti-influenzali previsto per i primi di ottobre in Lombardia non è arrivato e al momento pare non arriverà. Di pochi giorni fa la notizia di un’ulteriore gara fallita mentre l’assessore regionale Giulio Gallera assicura che è tutto sotto controllo. Quale scenario corrisponde di più alla realtà?


«La cosa sicura è che in questo momento in farmacia i vaccini non ci sono. Molti dei nostri pazienti sono andati personalmente a chiederli e non li hanno trovati, dunque privatamente non c’è possibilità di fare nulla. La situazione non migliora nelle aziende sanitarie che invece avrebbero il compito di somministrare direttamente l’anti influenzale e di fornirlo a medici e pediatri. I vaccini non ci sono così come mancano le comunicazioni a riguardo rispetto a tempistiche certe.

Avremo con una buona probabilità un arrivo scaglionato per cui sarà necessario fare una ulteriore selezione anche tra i pazienti. Si ipotizza per ora soltanto un arrivo di circa 80 dosi a medico per metà ottobre: pochissime. Un numero davvero irrisorio se pensiamo che ognuno di noi ha all’incirca 200 pazienti, e con gli over 60 arriva a 300».

Quattro gare fallite da parte della Regione Lombardia e un mercato che, ad oggi, non ha più possibilità di rispondere alle richieste a causa di dosi in esaurimento. Quali sono i rischi di questo ritardo?

«La situazione non si prospetta certo rosea. Come Ordine, sia a livello federativo nazionale che a livello regionale, avevamo un’aspettativa chiara di poter vaccinare nei primi di ottobre, quindi almeno una ventina di giorni prima del solito. Seguendo anche le stesse direttive di infettivologi ed epidemiologi. I rischi da dover evitare erano e sono sostanzialmente due. Il primo è la sovrapposizione del virus e quindi la capacità minore di diagnosi per la Covid-19 con conseguente aumento di tamponi inutili e più persone a casa. Il secondo non meno importante è il potenziamento dei sintomi».

Saranno più gravi?

«Fino a poco tempo fa è stato abbastanza intuitivo il fatto che l’unione tra infezione influenzale e infezione da Coronavirus avrebbe portato a complicanze più gravi. Ma ultimamente è arrivata la conferma anche dalla comunità scientifica, i dati ribadiscono il rischio di potenziare i sintomi di entrambe le infezioni se contratte nello stesso periodo.

Oltre a questi due rischi più importanti, in linea di massima bisogna comunque ricordare che l’influenza è un virus potenzialmente letale, anche se in misura molto più piccola, per fortuna, di quella del Coronavirus. Dunque rimane assurdo aumentare ulteriori rischi, in un momento tra l’altro in cui la popolazione si mostra molto più predisposta».

In che senso?

«Il sentiment della popolazione verso i vaccini è molto alto, come poche volte è capitato. Sarebbe potuto essere l’anno buono per arrivare a una copertura importante della popolazione target. Non sfruttare questa ondata di giusta volontà di vaccinarsi è un peccato mortale. Non vedo come si sia potuto far tardi proprio quest’anno quando tutti dicevano di far presto».

Secondo alcune fonti, la prima gara nel mese di marzo, è fallita per una contro offerta al ribasso da parte della Regione Lombardia. Un tentativo di risparmiare degenerato?

«Se così fosse sarebbe grave. Sprecare denaro pubblico è sempre sbagliato ma bisogna saper amministrare le risorse in modo intelligente. L’amministratore oculato non è solo quello che non spreca, è anche quello che spende il giusto quando è necessario.

Se si dovesse confermare che invece di condurre una gara corretta ci si è spinti al risparmio, fallendo, sarebbe, ripeto, molto grave. In altre Regioni hanno correttamente pensato a dei prezzi base più concorrenziali, tenendo conto della natura commerciale delle aziende. Il risparmio a tutti i costi non è una strategia che la Lombardia poteva e può permettersi, si sta giocando con la pelle delle persone».

Al momento le dosi disponibili corrispondono a 868mila per gli adulti e 430 per i bambini. Gli over 60 che dovrebbero vaccinarsi sono più di 2milioni. Quali sono le categorie messe più a rischio dalla falla assistenziale?

«Direi sicuramente gli anziani che hanno patologie, ma anche gli operatori sanitari. Vanno tutelati perché hanno la responsabilità di avere il contatto con le persone. Oltre a questi, faccio notare che la vaccinazione in generale non può essere sottovalutata, anche quella riguardante le categorie non a rischio. Se un giovane di 30 anni che viaggia in metropolitana e che frequenta giornalmente un ambiente di lavoro con molte persone, vuole vaccinarsi per proteggere se stesso e magari anche le categorie a rischio deve poterlo fare».

L’errore più grande commesso dalla Regione durante il percorso d’acquisto, cominciato in primavera e andato a vanti a fallimenti fino ad oggi, secondo lei qual è?

«Non averci ascoltato. Quello che che mi sarei aspettato già da diversi mesi e che ancora mi aspetto, è una disposizione maggiore all’ascolto nei confronti degli esperti e dell’ordine dei medici, sia a livello nazionale che regionale. Prima dalla Regione non ci chiamavano neanche, ora hanno cominciato a chiedere il nostro parere, ma chiedere non è sufficiente. Bisogna stare a sentire. Siamo dei tecnici, abbiamo una competenza specifica per cui ci esprimiamo con cognizione di causa».

Quand’è che non vi siete sentiti ascoltati?

«In questi mesi centinaia di volte, a cominciare dall’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale che andavano distribuiti a tutta la categoria, per passare all’incentivazione dell’informatica per la sanità che avrebbe potuto risolvere molti contatti inutili. Ora la questione dell’anti-influenzale.

Sulle vaccinazioni avevamo avvertito la Regione all’inizio dell’estate, si sapeva. È vero che le prime gare, da quello che ormai si è appreso, sono state fatte in primavera, ma è anche vero che avere davanti almeno tre mesi poteva significare un aggiustamento del tiro non indifferente. Non è stato fatto nulla. Tutto questo fa venire non poca rabbia».

Quali prospettive ora?

«Mi piacerebbe poterlo sapere. Quello che spero è che la situazione si sblocchi e che tutti prendano coscienza del fatto che quello che si era detto dall’inizio della primavera debba avvenire al più presto».

Un ritardo che si potrà recuperare?

«Mi sembra piuttosto difficile, le industrie hanno ovviamente i loro tempi di produzione e di distribuzione. L’alternativa possibile sarebbe il fai da te, e quindi ricorrere allo spostamento in altre Regioni per vaccinarsi o in Svizzera. Ma non può essere questa la soluzione, soprattutto se si tratta di sanità pubblica che dovrebbe garantire un’assistenza efficace e sicura».

Il consiglio che si sente di dare alla popolazione?

«La cosa importante è avere coscienza del fatto che ora, a maggior ragione, le regole di distanziamento sociale e di mascherina vanno più che mai rispettate. Questo allontana lo spettro dell’influenza e rende poco probabile soprattutto di infettarsi col coronavirus. Ora le misure restrittive possono essere uno strumento fondamentale anche per ahimè arginare la grossa falla di assistenza sanitaria che si sta vivendo in Lombardia».

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