Il Recovery Fund? Non basta. Ecco la proposta (da duemila miliardi) di un gruppo di economisti per uscire dalla crisi

di Giada Ferraglioni

La cifra stanziata dalla Commissione europea è storica, ma decisamente poco ambiziosa. È questa la posizione di alcuni ricercatori, che hanno stilato un piano di finanziamenti concreti per uscire dalla crisi

Il Recovery Fund è la parola chiave del futuro prossimo. Se giocato bene, il fondo messo a disposizione dall’Ue potrebbe essere la chance europea per puntare alla ripresa dopo lo schiaffo del Coronavirus. Lo sanno i politici e lo sanno i lavoratori, lo sanno gli studenti, i cittadini. E lo sanno bene anche gli economisti e gli studiosi: in un documento dal titolo How to spend it: A Proposal for a European Covid-19 Recovery Programme, i professori Jérôme Creel, Mario Holzner, Francesco Saraceno, Andrew Watt e Jérôme Wittwer * hanno sviluppato un piano d’azione concreto per «affrontare la sfida».


In tutto, si parla di una somma di 750 miliardi, di cui 209 destinati all’Italia. La somma di denaro messa a disposizione per sussidi e prestiti è unica nella storia dell’Unione europea. Proprio per questo è stata fin da subito estremamente dibattuta: non solo tra gli Stati che ne hanno fatto richiesta, ma anche con la platea dei cosiddetti frugal four – Austria, Svezia, Danimarca e Olanda – decisamente contrari al debito comune e al fondo perduto.


Meno spazio ed eco ha avuto invece una discussione sulle strategie per utilizzarli al meglio. La Commissione europea si aspetta che gli investimenti rispettino le linee guida – in realtà delle condizionalità particolarmente stringenti per l’Italia, che dovrà presentare un piano all’altezza della cifra. A parte generiche massime sull’importanza della sanità e della transizione green, il dibattito su come e dove investire è tuttavia pressoché assente. Accanto a questa critica, gli autori del documento ne pongono un’altra: i soldi stanziati non sono sufficienti per delle riforme incisive e durature.

Il programma in breve: i soldi sono pochi

Nonostante la somma prevista sia ritenuta in larga parte generosa, secondo i ricercatori si tratta di un investimento «poco ambizioso». Secondo quanto calcolato nello studio, un piano sufficiente dovrebbe prevedere un programma di investimenti da 2 mila miliardi (€2tn), distribuiti nel corso di 10 anni. I focus degli interventi, poi, dovrebbero essere sostanzialmente 3: sanità pubblica, sistema di trasporti e decarbonizzazione.

Da «How to spend it: A Proposal for a European Covid-19 Recovery Programme»

Di questi soldi, 500 miliardi di euro dovrebbero essere destinati ai Paesi più colpiti dalla pandemia e forniti rapidamente, nel giro di 3 anni. Altri 1,500 miliardi dovrebbero essere invece destinati al rafforzamento delle misure europee. Ma in cosa consisterebbero gli interventi?

  • Nel rafforzamento dell’Agenzia europea per la sanità pubblica (la Health4EU), che investa nelle competenze del personale sanitario, che ne faciliti l’impiego durante le emergenze e che abbia il compito di garantire la fornitura di medicinali vitali;
  • Nel rafforzamento di una rete ferroviaria europea ad alta velocità, l’Ultra-Rapid-Train, per ridurre i tempi di viaggio tra le diverse città e regioni d’Europa. E nella realizzazione di una via della Seta Europea sul modello cinese, così da consentire un circolo delle merci ad alta velocità.
  • Nella realizzazione di un Green New Deal basato sul rafforzamento di una rete elettrica per l’energia rinnovabile al 100% (la cosiddetta e-highway) e di un programma di finanziamento per la decarbonizzazione in tutti gli Stati membri.

Sanità pubblica

La Health4EU è la risposta dell’Ue alla pandemia da Covid-19, realizzata per fornire finanziamenti ai Paesi dell’UE, alle organizzazioni sanitarie e alle Ong. Secondo lo studio dei ricercatori – che ne propone anche delle modifiche strutturali – i soldi stanziati non sono sufficienti a garantirne un corretto funzionamento. Il budget di un’agenzia europea completa, che si occupi della prevenzione delle malattie, della ricerca biomedica e di portare avanti dei programmi di formazione è di circa 20 miliardi l’anno (una cifra stimata sul modello statunitense). Attualmente, la Commissione ne ha previsti meno di 10, spalmati su 7 anni.

La rete di trasporti veloci

Da «How to spend it: A Proposal for a European Covid-19 Recovery Programme»

La ripresa dalla crisi da Covid-19 non può prescindere, secondo gli autori, da un ripensamento delle infrastrutture dell’alta velocità, che consentirebbero una comunicazione rapida (e quindi ecologica, poiché contribuirebbe alla riduzione dei viaggi aerei) tra i diversi Paesi membri. Si tratterebbe di un nuovo sistema ferroviario a doppio binario e ad alta velocità, in aggiunta alle reti già esistenti (che, dove possibile, potrebbero essere riadeguate). La velocità media dei treni sarebbe tra i 250 e i 350 km/h. Le reti più importanti sarebbero 4:

  • Dublino-Parigi
  • Lisbona-Helsinki
  • Brussels- La Valletta
  • Berlino-Nicosia

La via della Seta europea

Secondo la stima dello studio, la Via della Seta europea potrebbe portare a una crescita economica del 3,5% e un aumento dell’occupazione che riguarderebbe circa 2 milioni di persone nel giro dei 10 anni di investimenti previsti.

Da «How to spend it: A Proposal for a European Covid-19 Recovery Programme»

La conversione al rinnovabile: creare un’autostrada elettrica

Nel 2015 la Commissione europea ha elaborato un pacchetto di obiettivi, chiamati Union Energy, che definivano mire ambiziose in campo di conversione energetica. Tuttavia, ogni Paese mantiene il diritto di sfruttare e gestire le proprie risorse come meglio crede, e finora gli unici obblighi previsti sono quelli del Libro Verde del 2013, che prevede una riduzione quasi totale delle emissioni di gas serra entro il 2050.

Ma per raggiungere la decarbonizzazione, spiegano i ricercatori nello studio, c’è bisogno di incentivare la rete energetica. Nel breve periodo di lavori per l’e-highway – e cioè fino al 2030 – i costi sarebbero di circa 114 miliardi di euro. Le cifre sul lungo termine variano invece tra i 250 miliardi per le linee aeree a basso prezzo, e i 390 miliardi di euro per cavi sotterranei, da spalmare nel periodo tra il 2030-2050.

Foto di copertina: EPA/YOAN VALAT; Rielaborazione grafica di Vincenzo Monaco per Open

*Gli autori dello studio: Jérôme Creel è direttore del Research Department at Observatoire français des conjonctures économiques (Sciences Po, OFCE) e Associate Professor of economics all’ESCP Business School; Mario Holzner è Executive Director al Vienna Institute for International Economic Studies (wiiw); Francesco Saraceno è Deputy Department Director alla Sciences Po. di Parigi. Andrew Watt è Head of Unit European Economic Policy al Macroeconomic Policy Institute (IMK) di Düsseldorf. Jérôme Wittwer è professore di economia alla Bordeaux University e responsabile per l’Economics and Management of Health Organizations (EMOS).

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