Usa 2020, le grandi sfide che aspettano il presidente: disegnare il (nuovo) ruolo dell’America nel mondo

di Cristin Cappelletti

Su una cosa concordano gli analisti: «La leadership americana è in declino». È con questa sintesi in mente che chi siederà alla Casa Bianca dovrà affrontare i prossimi quattro anni

C’è una peculiarità sorprendente, e forse inaspettata, nella visione di Donald Trump del ruolo americano nel mondo svelata da The Atlantic. Secondo il magazine, che da anni non risparmia attacchi al presidente americano, Trump ha ragione, solo che non è ne è consapevole. Il declino della leadership americana all’estero era già in discesa poco prima della fine della guerra fredda ed è stato Trump a «mostrare al mondo la scomoda verità», ha scritto il quotidiano. Con quella che alcuni suoi consiglieri, diplomatici e chi l’ha conosciuto hanno definito semplice ingenuità, Trump è riuscito a mostrare tutti i difetti della politica estera americana degli ultimi 30 anni.


In ognuna delle critiche e battaglie portata avanti da Trump, dal confronto con la Cina, alle concessioni fatte all’Europa a cui è stato permesso di «cavalcare la generosità americana», passando per l’intervento in Medio Oriente – eredità di Bush -, e la mancanza di lungimiranza di Obama con l’inizio del ritiro degli Stati Uniti da uno scenario strategico come quello asiatico, c’era e c’è un po’ di verità. Riprendendo le parole di Montesquieu sulla caduta dell’impero romano, The Atlantic fa notare: «se è bastata solo l’elezione di Trump per far crollare la leadership globale dell’America, o un cattivo candidato democratico per portare un uomo ad abbattere la politica estera americana del dopoguerra, ci devono essere ragioni più profonde per cui il sistema era così fragile».


Anche il rettore della scuola di Studi internazionale della Johns Hopkins University, Eliot Cohen, sembra essere d’accordo. Il potere americano nel mondo è in declino. Ma per Cohen le colpe sono di Trump: «Con un secondo mandato – scrive su Foreign Affairs – gli Stati Uniti potrebbero essere percepiti come un monumento del passato. Più che di uno stato fallito, saremmo una visione fallita, una vasta potenza in declino il cui tempo è tramontato». Su una cosa, dunque, sembrano concordare gli analisti: il ruolo americano nel mondo è sbiadito. E chiunque vinca il prossimo tre novembre è con questa sintesi in mente che dovrà affrontare le sfide dei prossimi quattro anni e dell’America che verrà.

L’unione europea

EPA/PETER NICHOLLS | Da sx Boris Johnson, Donald Trump, Giuseppe Conte, Angela Merkel e Recep Tayyip Erdogan

Nel 2016 Barack Obama li definì free riders. Un termine che in italiano traduciamo con scrocconi. Il riferimento era alla Libia e agli alleati europei e agli eventi che seguirono nel 2011 alla caduta di Gheddafi. Durante la presidenza Trump i rapporti tra Washington e il vecchio alleato di Bruxelles si sono incrinati, anche se la crisi era, seppur meno evidente, già forte anche negli anni precedenti. Quello che l’Europa non sembra tollerare, sempre attenta a una politica di bilanciamento e diplomazia, sono gli eccessi del presidente.

Ma è nella Nato, in particolare, dove Washington e Bruxelles si sono scontrate maggiormente. Con Trump che ha accusato l’Europa di non partecipare abbastanza al budget militare dell’alleanza. Con il Regno Unito pronto all’uscita, così come Merkel che nel 2021 lascerà con molta probabilità la guida della Germania come cancelliera, l’Unione europea è alla ricerca di stabilità. E non è chiaro quanto l’America, sotto Trump, sia pronta a farsi ancora da garante della sicurezza europea. Né quanto l’Europa sia pronta a una politica estera indipendente.

Cina

EPA/JEROME FAVRE | Scontri a Hong Kong

Per Donald Trump la Cina è stato un punto fermo della sua politica estera. Una guerra di parole iniziata durante la campagna elettorale del 2016 e continuata nel 2020 dopo l’arrivo della pandemia, con l’accusa che il virus sia stato creato da Pechino. Nel mezzo, la presidenza repubblicana ha prima minacciato, poi tirato il freno a mano, su l’imposizione di dazi per proteggere l’economia dalla penetrazione cinese. Ma la repressione dei manifestanti a Hong Kong e la delicata situazione con Taiwan, hanno riacceso lo scontro tra le due superpotenze. La Cina, visto il disimpegno americano in Asia e in Africa, sta provando a proporsi, come un partner economico. La lunga mano di Pechino si estende ormai fino ai porti europei. Quello con la Cina sarà un confronto lungo. E Washington deve capire se vuole avere almeno l’Europa dalla sua parte.

Medio Oriente

EPA/STR | Kermani, funerali di Soleimani

L’annuncio, a maggio 2018, che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati dall’accordo sul nucleare con l’Iran – raggiunto da Obama – e l’imposizione di un campagna di massima pressione su Teheran ha esacerbato le tensioni regionali accelerando lo sviluppo del programma nucleare. Donald Trump, e l’amministrazione di falchi, hanno ribaltato con l’uccisione, tra le altre cose, del generale Qassem Soleimani, la politica diplomatica di Obama e dell’allora vicepresidente Biden. Quest’ultimo, nel caso fosse eletto, ha promesso che con l’Iran tornerà al tavolo dei negoziati, ma per Trump invece l’unica via sembra essere quella delle sanzioni economiche. Una scelta che sta pesando sulla tenuta del sistema sanitario iraniano, l’acquisto di medicinali in un tempo in cui la pandemia da Coronavirus non ha confini.

In Medio Oriente Trump ha in parte rispettato la promessa di portare a casa le truppe americane con il disimpegno dalla Siria, dall’Iraq e in parte dall’Afghanistan. Sul fronte del mediterraneo, l’amministrazione repubblicana ha raggiunto un accordo di pace tra Israele e Palestina che, escludendo proprio i palestinesi, ha alimentato ancora di più le divisioni in un contesto già delicato. Gli accordi di Abramo raggiunti lo scorso agosto tra Israele ed Emirati, siglati alla casa Bianca, seppure presentati come un successo, hanno allontanato molti alleati arabi dagli Usa e la prospettiva di una vera soluzione al conflitto arabo-israeliano. E con il vuoto lasciato dagli Usa in Medio Oriente si è fatta avanti la Russia. Da Bush, a Obama, passando per Trump, gli Stati Uniti dovranno capire se e quale ruolo vogliono giocare nella Regione.

Diritti umani

EPA/JOHN MOORE | Vincitore “Foto dell’anno 2019”

L’amministrazione Trump ha agito in maniera ambivalente nel confronto dei diritti umani. Un approccio selettivo che Washington ha messo da parte quando ha voluto stringere accordi con leader autoritari. È stato il caso della Nord Corea o della Russia e del suo presidente Vladimir Putin. Nel 2018, gli Usa si sono ritirati dal consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani e solo poche settimane fa hanno sanzionato i procuratori della corte penale internazionale dopo che questi avevano aperto un’inchiesta sui crimini di guerra degli Stati Uniti in Afghanistan. Se gli Stati Uniti vogliono tornare a promuovere il rispetto dei diritti umani, non solo con sanzioni, dovranno poi fare lo stesso in casa rispondendo alle disuguaglianze razziali e all’ingiustizia sociale che dilaga nel Paese. Toccherà al prossimo presidente americano decidere che strada prendere e le sue scelte determineranno, in qualsiasi caso, il posto degli Stati Uniti nel mondo.

Immagine di copertina: Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco per Open

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