Coronavirus, i numeri in chiaro. Il matematico Sebastiani: «Sarebbe un errore non chiudere le scuole e mettere in quarantena solo gli anziani»

Il matematico boccia il lockdown alla francese o all’inglese con le scuole aperte. Anche se non ci sono chiari studi in merito, la prova – dice – sta nell’impennata dei contagi avvenuta a fine settembre

Mentre il governo si prepara a introdurre nuove restrizioni in chiave anti-Coronavirus, il Paese registra +29.907 nuovi positivi in 24 ore. All’estero, Francia, Germania e Inghilterra hanno introdotto nuovi lockdown (lasciando però aperte le scuole) per cercare di fermare l’avanzata del virus e adesso l’Italia si prepara a fare altrettanto, reintroducendo però la didattica a distanza nella maggioranza delle scuole superiori e forse anche per le terze medie. Secondo il matematico Giovanni Sebastiani, sarebbe una scelta saggia.


Professore, i casi continuano ad aumentare. Ieri abbiamo superato la soglia dei 30 mila e oggi ci siamo andati vicini. Possiamo dire che le misure introdotte dal governo il 24 ottobre non sono sufficienti?


«Ci sono dei segnali di risposta. È aumentato il tempo di raddoppio della percentuale dei nuovi positivi sui nuovi casi testati, e l’Rt è diminuito. Ma la flessione è importante soprattutto per quanto riguarda l’impatto sulla salute pubblica, sui ricoveri e sulle terapie intensive. Entrambi aumentano, ma stanno accelerando meno rispetto a prima. In questa fase i parametri che usiamo per monitorare la circolazione del virus – come la percentuale di positivi sui casi testati, per esempio – ci dicono che siamo in una fase di transizione. Ma i segni di miglioramento sono minimi, quindi c’è sicuramente bisogno di altre misure. Tra una settimana – dieci giorni vedremo se ci sono effetti del Dpcm di qualche giorno fa che introduceva ad esempio la didattica a distanza per le superiori».

Quale è stata la misura più efficace secondo lei? 

«Probabilmente l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto».

Giovanni Sebastiani | Il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva

Guardando le terapie intensive e i ricoveri di persone con sintomi, i dati sono comunque impressionanti. Nelle ultime 24 ore sono, rispettivamente, +96 e +936. Non li trova preoccupanti?

«Se facciamo un confronto con il picco nella prima fase oggi i valori sono più bassi: stiamo quasi a metà del valore del picco per quanto riguarda le terapia intensive. Inoltre, la capacità è aumentata. Per quanto riguarda i ricoverati con sintomi, occupano posti letto che potrebbero essere occupati da persone con altre patologie, quindi purtroppo il peso per le strutture sanitarie si comincia a sentire, eccome. Ma c’è una cosa da tenere in considerazione: a parità di terapie intensive abbiamo più ricoverati. Durante la prima fase, ogni cento persone ricoverate con sintomi, avevamo 16 terapie intensive. Adesso ogni 100 ne abbiamo 10 di terapie intensive».

Come se lo spiega?

«Ci sono almeno due spiegazioni. La prima è il fatto che ora le cure sono migliori, probabilmente perché abbiamo strumenti terapeutici più efficaci. La seconda è che facciamo diagnosi più precoci, quindi riusciamo a identificare i nuovi casi prima. Anche per questo, probabilmente, ci sono più ricoverati con sintomi e meno in terapia intensiva».

Cosa non sta funzionando con il tracciamento?

«Semplicemente: i casi sono troppi. Purtroppo non siamo riusciti a fare usare l’app Immuni a un numero sufficientemente alto di persone. Attualmente, non basta il tempo ai tracciatori per rintracciare tutti i contatti. E poi in assenza di un app è difficile tenere conto di tutte le persone con cui una persona positiva è entrata in contatto. Inoltre, è evidente che diventa sempre più difficile mettere in relazione i contagiati tra loro ed evidenziare un’origine chiara del contagio e questo rende molto difficile il tracciamento».

Giovanni Sebastiani | Il tempo di raddoppio nei casi positivi dopo la riapertura delle scuole

Ci sono prove sufficienti per chiudere le scuole?

«Penso che sarebbe un errore non farlo. È vero che al momento non ci sono prove certe dell’influenza della scuola nella riduzione del contagio. Gli unici studi che sono stati fatti non separano l’effetto della chiusura delle scuole da altre chiusure, visto che sono avvenute contemporaneamente. L’unica prova che abbiamo è nell’accelerazione nei casi avvenuta a fine settembre in Italia: a 14 giorni circa dalla riapertura delle scuole, tempo caratteristico di quest’epidemia, abbiamo avuto un cambio nella curva che da lineare è diventata esponenziale. Non è avvenuto altrettanto con la ripresa delle attività lavorative a inizio mese, due settimane prima delle scuole».

Sono diverse le misure proposte in questi giorni: si è parlato di zone rosse regionali e anche dell’isolamento degli anziani. Quale considera più efficace?

«Il principio generale di agire selettivamente mi sembra giusto, localizzando per spazi, per tempo o anche per classe. Sia per prevenire, sia per monitorare i casi. Ci sono categorie che vanno monitorate di più di altre e altre che vanno protette. Ma mettere in quarantena solo gli anziani è sbagliato, perché non sono loro i principali responsabili della circolazione del virus. Potrebbe servire ad abbassare la mortalità, che è importante, ma non a fermare la circolazione del virus, che è altrettanto importante perché ci permette di alleggerire la pressione sugli ospedali».

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