La lotta al terrorismo e il rischio di mettere ai limiti della legge l’Islam. La proposta Ue che non convince

Dopo gli attacchi in Francia e Austria i ministri dell’interno dei 27 Stati membri hanno pubblicato una dichiarazione congiunta. Ma il documento ha messo a nudo le divisioni dell’Ue

Cinque anni fa gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 sconvolsero l’Europa. Alla fine della giornata, il commando dell’Isis aveva ucciso 130 persone. Quest’anno la ricorrenza è arrivata dopo aver subito tre attacchi in tre settimane: due in Francia e uno in Austria, stavolta con meno vittime ma una violenza altrettanto inaudita. La differenza rispetto a quel giorno è che gli attentatori che hanno colpito Francia e Austria non facevano direttamente parte di un’organizzazione strutturata, ognuno ha agito per conto suo. La minaccia terroristica è tornata prepotentemente nell’agenda dell’Unione europea, e i governi non sanno realmente cosa fare. Venerdì i ministri dell’interno dei 27 Stati membri hanno pubblicato la dichiarazione congiunta sui recenti attacchi, un documento la cui preparazione a messo a nudo le divisioni politiche dell’Unione.


Le bozze modificate

Circa una settimana fa, i rappresentanti permanenti dei governi a Bruxelles hanno ricevuto la bozza della dichiarazione congiunta contro il terrorismo. In quel testo, la parola Islam veniva menzionata direttamente per 15 volte e la Commissione europea riceveva l’incarico di trovare un modo per “istruire” gli imam degli Stati membri. La bozza, inizialmente riservata ma poi fatta trapelare a tutti gli organi di informazione, ha scatenato polemiche perché tracciava un collegamento diretto tra immigrazione e terrorismo islamico.


Il collegamento terrorismo-immigrazione trovava sponda nel fatto che l’attentatore che ha colpito a Nizza il 29 ottobre, era un giovane tunisino arrivato in Francia con un viaggio in treno lungo l’Italia, dopo essere entrato in Europa da Lampedusa. Diversi leader di Paesi chiave, tra cui Francia, Germania e Austria, chiedevano quindi una riforma dello spazio Schengen con misure molto più stringenti e mirate. Una seconda bozza discussa mercoledì conteneva l’idea di imporre ai Paesi di primo ingresso – soprattutto Italia e Grecia – la presenza di Frontex per gestire la frontiera esterna, prospettando la creazione di una “zona cuscinetto” all’interno dell’Area Schengen, escludendo de facto i Paesi di primo ingresso.

La linea dura di Macron e Kurz

A spingere per una profonda revisione dello spazio Schengen e a contrastare quello che viene definito “separatismo islamista” (non ‘islamico’) è Emmanuel Macron, supportato dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. La linea del cancelliere austriaco è ancora più netta. Sebastian Kurz, ha intenzione di istituire il reato di ”Islam politico”, allo scopo di perseguire penalmente non solo i terroristi veri e propri, ma anche i predicatori che creano il terreno fertile per l’indottrinamento. Un approccio che richiede di tracciare una linea sottile, indefinita, creando un contesto pericoloso.

Il documento finale

Divisioni, timori e una visione d’insieme limitata caratterizzano il testo della dichiarazione finale. La maggior parte degli Stati membri ha un approccio meno radicale, per il semplice fatto che non tutti e 27 vivono la questione allo stesso modo. Infatti, nella dichiarazione finale la parola “Islam” non appare mai, c’è solo un riferimento all’omicidio “islamista” di Samuel Paty. Secondo il documento, l’intervento dell’Ue dovrà essere diversificato, agire su più fronti: inclusione sociale, prevenzione della radicalizzazione, rafforzamento dello scambio di informazioni e collaborazione tra le autorità.

All’inizio di dicembre saranno presentati i progressi nei programmi di cooperazione tra polizie per contrastare l’estremismo e il terrorismo (anche online), ma sempre sottolineando che ciò non deve portare alla stigmatizzazione di nessun gruppo religioso. Significativo il riferimento alla necessità di limitare «l’influenza straniera indesiderabile di organizzazioni civili e religiose nazionali attraverso finanziamenti non trasparenti». Anche in questo caso però non ci sono riferimenti diretti di nessun tipo.

I ministri dell’Interno sono d’accordo sulla necessità di maggior coordinamento sui controlli intra-Schengen e lungo le frontiere esterne, far funzionare le banche dati condivise sulle persone che entrano ed escono dall’Ue e cooperare più strettamente con i paesi terzi, al fine di combattere le minacce terroristiche, ma senza compromettere il principio della libertà di circolazione. Per l’Italia questa era la priorità, il rischio di una mini-Schengen che escludeva la penisola per ora è scongiurato. 

Tuttavia, i governi conservano la facoltà di decidere in totale autonomia di reintrodurre e prolungare i controlli temporanei alle frontiere interne, perciò una mini-Schengen potrebbe essere introdotta per ragioni di sicurezza in qualsiasi momento, senza che l’Italia possa fare molto per impedirlo. Per esempio, se Francia, Austria e Slovenia decidessero di introdurre controlli alla frontiera, l’Italia si troverebbe improvvisamente tagliata fuori.

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