Coronavirus, i numeri in chiaro. Tizzoni: «Abbiamo raggiunto il picco di ricoveri e terapie intensive. Ora stiamo attenti»

di Giada Ferraglioni

«I dati dell’ultima settimana ci fanno ben sperare sull’effettiva diminuzione dei contagi, perché abbiamo meno casi con un numero di tamponi che resta comunque alto» ha detto a Open il ricercatore della Fondazione Isi, Michele Tizzoni

Sono diversi i dati di oggi sul Coronavirus in Italia che saltano all’occhio. C’è la diminuzione dei decessi dopo l’exploit di ieri, 27 novembre, con il conseguente nuovo calo delle terapie intensive – che diminuiscono di 20 unità – e dei ricoveri (-385 in 24 ore). C’è la diminuzione del famoso tasso di positività, e cioè la percentuale dei tamponi trovati positivi alla Covid-19 sul totale dei test effettuati. Ed è proprio questo il numero che più di tutti incoraggia per quanto riguarda l’andamento dell’epidemia: i test diagnostici effettuati sono stati 225.940, di cui l’11,7% positivo al Sars-Cov-2. Una percentuale in calo di circa l’1,1% rispetto a ieri. Open ha chiesto al professor Michele Tizzoni, ricercatore della Fondazione Isi, di fare il punto della situazione a pochi giorni dal nuovo Dpcm.


Professor Tizzoni, ieri è stato registrato il picco massimo di decessi della seconda ondata, 827. Oggi c’è stato un calo: 686. Abbiamo superato la soglia critica?


«Quello sui decessi resta il dato più drammatico. Da parecchi giorni vediamo numeri molto alti. Sappiamo bene che non è una sorpresa, abbiamo avuto numeri di contagi molto alti fino a sette/dieci giorni fa. Ma il dato di oggi mi fa pensare che siamo arrivati alla famosa stabilizzazione delle morti, diretta conseguenza di quella dei nuovi positivi. La prossima settimana sarà determinante per vedere se la diminuzione sarà confermata e consistente come speriamo».

A calare sono finalmente anche i ricoveri e le terapie intensive.

«Sì. Avendo unicamente il dato cumulativo, possiamo dire solo ciò che è scontato, e cioè che alcune delle uscite dalle terapie intensive sono decessi. D’altra parte, però, il dato sui ricoveri ci fa vedere un aspetto positivo, e cioè quello del rallentamento dei contagi. Proprio ora iniziamo a vedere la prima riduzione, il che ci fa pensare che si sia raggiunto il picco. Questo – nonostante il dato sui decessi – è un segnale positivo. C’è un’iniziale diminuzione del carico sugli ospedali e speriamo di continuare su questa strada».

Parliamo di un altro dei dati fondamentali per capire l’andamento dell’epidemia: il tasso di positività rispetto ai tamponi. Oggi è in calo dell’1,1% rispetto a ieri.

«Ecco, questo è molto positivo. I dati dell’ultima settimana ci fanno ben sperare sull’effettiva diminuzione dei contagi, perché abbiamo meno casi con un numero di tamponi che resta comunque alto. Detto questo, siamo ancora su percentuali elevate: la media settimanale è stata di circa il 12-13%, e l’obiettivo, stabilito dall’Oms, è di rimanere sotto la soglia del 5%. Solo a quel punto saremo in grado di tracciare e tenere sotto controllo l’epidemia».

Una diminuzione momentanea o duratura, secondo lei?

«Non penso che sia un calo per forza momentaneo. Quando l’indice Rt scende sotto l’1, allora è più facile proseguire con il trend positivo. Sicuramente, però, la prossima settimana sarà decisiva: più che un allentamento delle restrizioni, a preoccuparmi è un rilassamento nei comportamenti».

In questo quadro ci sono Regioni, come il Veneto, che hanno ancora numeri elevati di nuovi casi. Oggi ha registrato da solo 3.498 positivi. In che situazione è?

«I numeri sono alti, ma non c’è un vero e proprio decollo dell’epidemia. Il Veneto è rimasto in zona gialla, le restrizioni non sono molto rigide e il problema è che non si è ancora capito come invertire la tendenza. Nelle ultime settimane c’è stato sostanzialmente un plateau dal quale non ci si è mossi. Questo al contrario di regioni come Lombardia e Piemonte, che con le restrizioni da zona rossa sono riuscite a invertire la tendenza nell’ultima settimana. Anche l’arancione dovrebbe essere sufficiente per mantenere il trend».

Dunque succede quello che si temeva? Che le regioni gialle sono destinate a peggiorare?

«Non per forza. Quel che è certo è che le misure prese nelle Regioni rosse hanno dimostrato di essere efficaci. Ma il discorso sulle zona gialle varia molto a seconda dei territori. Prendiamo il caso del Lazio: ha un trend in discesa nonostante non abbia applicato misure particolarmente restrittive. Quel che conta davvero è la capacità del sistema sanitario di gestire l’epidemia. E penso in primis al tracciamento, cioè alla velocità attraverso cui si fanno i test e si comunicano i risultati. In questo momento siamo tutti concentrati a guardare ricoveri e terapie intensive, ma dobbiamo ricordarci che queste sono le ultime linee del fronte: bisogna lavorare su quello che viene prima».

A proposito di sistema sanitario, in Campania c’è stato uno scontro sulle responsabilità tra il presidente Vincenzo De Luca e i medici. Quanto fa male questo rimpallo alla salute dei cittadini?

«In Campania il problema principale è che – come è successo in tutta Italia – c’è stato uno scarso investimento di risorse e una enorme difficoltà nel prepararsi a una seconda ondata. Le Asl e le Ats di tutto il Paese sono state travolte non appena è scoppiata l’emergenza a ottobre. Il sistema si è mostrato impreparato a causa della mancanza di risorse. La cosa che dobbiamo capire davvero è che non possiamo pensare di riaprire tutto nelle stesse condizioni di prima. E questo vale in Campania come in tutta Italia».

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