Il governo appeso al filo del Mes, otto senatori M5s terrorizzano la maggioranza. Delrio: «Se votano no, non ha senso andare avanti»

di Giovanni Ruggiero

Il nodo del Mes è solo l’ultimo che viene al pettine della maggioranza. Occhi puntati sul voto di mercoledì al Senato per la riforma del fondo Salva Stati. Ma c’è anche quello sul pacchetto Sicurezza alla Camera, per il quale i grillini preparano un segnale di avvertimento

I numeri perché il governo non inciampi mercoledì 9 dicembre al Senato ci sarebbero, o almeno così assicurano i vertici del M5s, ma lo spazio per mettere altra polvere sotto il tappeto è ormai finito. Lo scontro sul voto per la riforma del Mes resta un crocevia per la tenuta del governo, nel quale sono i grillini a giocare la partita più complicata. Il capo politico Vito Crimi e Luigi Di Maio da ieri garantiscono che i gruppi M5s voteranno la risoluzione unitaria di maggioranza e che il governo non cadrà.


Prima però ci sono ancora almeno otto senatori grillini da convincere, abbastanza per mantenere alta la tensione nella maggioranza. La posta in gioco non è solo la tenuta del governo, ma la credibilità dell’Italia in Europa, avverte il capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio a la Repubblica. Votare no al Mes significherebbe dire no all’Europa, un ritorno al Conte uno: «Allora è evidente che non avrebbe più senso portare avanti questa esperienza».


La spaccatura riemersa nella maggioranza sul Mes, tanto sulla sua riforma quanto sulla possibilità di usarlo, è solo l’ultimo nervo scoperto a essere toccato. Ci pensa Delrio a rifare la mappatura delle promesse rimaste in sospeso, quegli accordi presi all’ordine del governo Conte due che ne ha permesso la nascita con l’alleanza tra M5s e Pd. Ai grillini come il ministro Vincenzo Spadafora, che ancora ieri a Il Foglio minacciava i dem di smetterla con le provocazioni spingendo i grillini su posizioni che non condividono, Delrio ricorda che ci sono ancora patti da rispettare: «Noi del Pd ci siamo fatti concavi e convessi», per esempio quando c’è stato da approvare il taglio dei parlamentari: «Abbiamo detto sì, ma a patto che venissero portate avanti le riforme collegate. Ora però – aggiunge – quei nodi vanno risolti definitivamente, nei tempi e nei modi giusti. Altrimenti la fatica dell’alleanza si farà sentire».

La fronda grillina

Una fatica che usura la pazienza su entrambi i fronti. Perché non fa eccezione quello grillino, dove secondo La Stampa ci sarebbero tra i sei e gli otto senatori che minacciano ancora di votare No mercoledì, con la maggioranza aggrappata ai voti dei senatori a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo e alle possibili assenze strategiche dei senatori di Forza Italia dissidenti, pur di mantenere il margine risicato a palazzo Madama che è proprio dei sei voti. Tra i ribelli ci sono Elio Lannutti, Barbara Lezzi e Orietta Vanin, seguiti da Bianca Granato e Mattia Crucioli. E poi c’è il presidente della commissione antimafia Nicola Morra, oltre ai voti in forse di Rosa Amato, Fabio Di Micco e Cataldo Mininno.

Se qualcuno di questi potrebbe restare convinto del proprio No, altri potrebbero uscire dall’aula ed evitare imbarazzi ai vertici del Movimento. Ma il segnale è ormai partito, al quale sempre mercoledì potrebbe seguirne un altro. Alla Camera si voterà sul pacchetto Sicurezza, per il quale una trentina di grillini sarebbero pronti a votare contro la maggioranza e il governo. Altro nodo che viene al pettine eredità del primo governo Conte e che rilancia l’avvertimento di Delrio e di Nicola Zingaretti, per i quali non è più tempo di «tirare a campare».

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