Coronavirus, i numeri in chiaro. La fisica Paolotti: «Picco dei decessi? Ancora presto per dirlo»

di Giulia Marchina

Per la ricercatrice il dato sui nuovi casi positività è «al ribasso a causa della diminuzione dei tamponi»

In Italia i casi di Coronavirus segnalati nelle ultime 24 ore sono 18.727 in più rispetto a ieri, quando erano 16.999. Le persone ricoverate con sintomi, secondo i dati del bollettino diffuso dalla Protezione civile e dal ministero della Salute scendono a quota 28.562 (-526, ieri erano 29.088) e diminuiscono anche i pazienti in terapia intensiva: ora sono 3.265, con 208 ingressi nelle ultime 24 ore. Attualmente ci sono 690.323 persone positive al virus. Sono poi 761 le vittime (ieri invece erano 887). «Sarà curioso capire cosa accadrà subito dopo Natale», dice Daniela Paolotti della Fondazione Isi.


Dottoressa, i numeri delle vittime continuano ad essere elevati. Abbiamo raggiunto il picco dei decessi?


«I dati sulle vittime sono un po’ strani, soprattutto perché alcune Regioni stano facendo il conguaglio. Toscana e Friuli stanno conteggiando i decessi dei giorni passati. Non è ancora chiaro se il picco sia stato raggiunto».

Quindi le vittime potrebbero aumentare…

«Dico solo che parlare di picco ora, significherebbe dare false speranze che di qui a poco quel numero lì cominci a scendere e non sono nella posizione di poterlo affermare con certezza».

E invece qual è lo scenario per i nuovi casi positivi?

«Il trend pare in discesa, ma il fenomeno va di pari passo con la curva dei tamponi, che è scesa di molto. Quindi, a un primo sguardo, direi che il numero dei casi positivi, ad oggi, viaggia al ribasso».

Cosa accadrà con l’apertura allo spostamento tra comuni?

«Quello che succederà nei prossimi giorni è complicato dirlo, in realtà il periodo natalizio si porta dietro l’appello a non spostarsi troppo, a non fare cenoni e a non fare assembramenti. Con queste premesse, potrebbe non essere un problema lo spostamento, sempre che siano in pochi a decidere di muoversi da un comune a un altro».

Cosa la preoccupa?

«La riapertura della scuole a gennaio. Non sarà tanto la scuola in sé, ma tutto il mondo che ci gira intorno: i mezzi pubblici che saranno inevitabilmente più affollati o i nonni, persone a rischio, che si muoveranno da casa per portare i nipoti».

Potremo assistere a una terza ondata?

«Con la ripartenza delle attività ordinarie è possibile. Poi c’è da dire una cosa: molti danno per assodato il fatto che tra qualche mese possa presentarsi una recrudescenza del virus. Ma chi lo ha detto invece che avremo chiuso i conti con la seconda ondata? Coi numeri di ora non è minimamente possibile arrivare ai numeri bassi che registravamo a giugno. Difficile che vedremo concludersi la seconda ondata in modo netto come è stato con la prima».

Poi ci sono le terapie intensive, che stanno calando.

«Le ipotesi variegate: da un lato abbiamo la coda del lockdown imposto con il Dpcm di inizio novembre. Dall’altro, con tutti i decessi che ci sono stati, è possibile che ci troviamo davanti a un “effetto svuotamento” dei reparti di terapia intensiva».

Cosa pensa, invece, dei tamponi in diminuzione?

«Penso sia sbagliato il principio. Coi numeri che registriamo, sarebbe stato importante mantenere un trend molto alto di tamponi eseguiti giornalmente. In questo modo si ha una fotografia più precisa della situazione, dell’entità del danno. La diminuzione sistematica dei tamponi è un grosso problema: era necessario fare lo sforzo di mantenere alto il dato».

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