Diritti, il report di Human Rights Watch segnala l’Italia per la gestione della Dad e gli episodi di intolleranza

Durissimo il giudizio anche sulla Cina: «Periodo più buio dal massacro di Tienanmen»

Il 2020 è stato un annus horribilis anche sul fronte dei diritti. A dirlo è Human Rights Watch, l’organizzazione non governativa che nel suo rapporto annuale non ha dubbi sul fatto che l’epidemia di Coronavirus abbia avuto un «forte impatto sulle vite e i diritti delle persone in tutta l’Unione europea». Secondo Benjamin Ward, vicedirettore per l’Europa e l’Asia centrale, sono diversi i Paesi europei che durante il 2020 «hanno ceduto al richiamo dell’autoritarismo». A rimetterci sono stati soprattutto i più deboli: le persone a basso reddito, gli indigenti e le minoranze di ogni genere, come raccontano le storie di Willy Monteiro Duarte, 21enne di Colleferro pestato a morte ad agosto, e di Paola Maria Gaglione, la ragazza di 22 anni uccisa mentre era in auto con il suo compagno Ciro, un ragazzo trans della stessa età.



L’Italia, tra didattica a distanza e i casi di femminicidio

All’Italia infatti viene dedicato un capitolo specifico nel rapporto finale e non soltanto perché è stato il primo Paese fuori dalla Cina a dichiarare lo stato di emergenza nazionale a causa della pandemia. Vengono citati anche gli effetti della pandemia nelle Rsa – in cui sono morte 8-12 mila anziani – l’alto tasso di contagi tra gli operatori sanitari (circa 31.100, con più di 240 decessi per il Covid) e anche il cosiddetto digital divide che ha penalizzato circa il 12% degli studenti in età dai 6 ai 17 anni che non hanno un pc a casa. Su questo viene chiamata in causa anche la ministra dell’Istruzione Azzolina visto che ad oggi manca ancora una valutazione pubblica sui 150 milioni di euro investiti per comprare computer e altri dispositivi per colmare questo divario. Sempre in rapporto alle misure di contenimento del virus, vengono citati i casi di femminicidio aumentati durante il lockdown.

ANSA/MASSIMO PERCOSSI | La fiaccolata in ricordo di Willy Monteiro Duarte morto a Colleferro durante un pestaggio, Paliano, 09 settembre 2020

Altra macchia sul Paese è la condizione delle persone in stato di detenzione, dalle carceri, sempre sovraffollate, ai centri di accoglienza per i profughi (anche loro tra l’altro non sono stati risparmiati dall’epidemia). Rispetto all’immigrazione, è sotto accusa anche la decisione di rinnovare gli aiuti al governo e in particolare alla cosiddetta guardia costiera libica tramite il Memorandum d’intesa con il Paese nordafricano, nonostante le tante evidenze di brutalità commesse sulla pelle dei migranti, nonché il ritardo «ingiustificato» con cui vengono salvati i naufraghi nel Mediterraneo, quando vengono salvati. Troppi poi gli episodi di razzismo ed intolleranza.

L’Ue troppo remissiva sul rispetto dello stato di diritto

Anche la condotta dell’Unione europea viene criticata nel rapporto, soprattutto per i «pochi passi avanti nello sviluppo di strumenti per richiamare alle loro responsabilità i paesi membri che minano lo stato di diritto». Se da una parte a novembre l’Unione ha siglato un accordo che condiziona l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto, l’Ungheria e Polonia sono riusciti comunque a far tornare i leader europei sui loro passi, bloccando l’approvazione del bilancio e gli aiuti stanziati per la pandemia finché non hanno ottenuto alcune concessioni.

Non che gli altri angoli del mondo offrano molti motivi di soddisfazione dal punto di vista del rispetto dei diritti. Il giudizio di Human Rights Watch sulla Cina è durissimo: «È nel pieno del suo periodo più buio sul fronte dei diritti umani dal massacro di Tienanmen del 1989». Oltre alla repressione portata avanti a Hong Kong, dove il movimento pro-democrazia ormai è in ginocchio, desta preoccupazione anche la repressione delle minoranze etniche nello Xinjiang (vedi il caso degli uiguri), in Mongolia e in Tibet.

Paradossalmente, nell’anno di George Floyd e Black Lives Matter, un barlume di speranza arriva dagli Stati Uniti. «Dopo quattro anni con al potere un presidente indifferente e spesso ostile ai diritti umani – afferma il direttore esecutivo Kenneth Roth – l’elezione del novembre 2020 di Joe Biden come nuovo presidente degli Stati Uniti offre l’opportunità per un cambiamento fondamentale di rotta». Nel buio degli ultimi quattro anni, «altri governi si sono fatti avanti per difendere tali diritti», aggiunge Roth. «L’amministrazione Biden dovrebbe cercare di unirsi a questo nuovo sforzo collettivo».

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