Le scuole riaprono da oggi in Emilia, Lazio, Molise e Piemonte. In Lombardia risveglio coi lucchetti: «Chiuso per incompetenza» – Foto

Nel frattempo in Veneto, a dieci giorni dalla riapertura di elementari e medie, ci sono 200 classi in quarantena

Fino all’ultimo, la riapertura è apparsa in bilico. E invece alla fine oggi è, di nuovo, il primo giorno di scuola per 300 mila studenti e studentesse in tutta Italia. O meglio: in cinque regioni, ovvero Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Molise. Per quanto posticipare, come anche suggerito da alcuni esperti, sarebbe stata la tentazione. Altri 300 mila sono a casa ad aspettare il loro turno nell’alternanza. L’Emilia Romagna avrebbe ricominciato il 25 gennaio, ma “cede” a una sentenza del Tar (il governatore Stefano Bonaccini sottolinea «Da noi le sentenze le rispettiamo»).


Il Piemonte dal canto suo assicura che la regione ha provveduto al potenziamento dei mezzi pubblici, vero nodo nella sfida di riportare in classe «tra il 50 e il 75 per cento» di chi va alle superiori non alimentando i numeri, già alti, dei contagi di Coronavirus. Torna in presenza anche il Molise, che aveva bloccato fino a qui tutti i cicli, anche medie ed elementari.


E suona la campanella anche nel Lazio – non senza scioperi sparsi – lì dove non pochi sono sempre stati i timori della giunta guidata dal presidente Nicola Zingaretti. Nel frattempo in Veneto, dove da dieci giorni sono tornate in classe elementari e medie, 200 classi (e 4 mila studenti) sono ora in quarantena.

In Lombardia

Nel frattempo in Lombarda un blitz notturno del Comitato in Difesa della Scuola ha bloccato gli ingressi dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia con catene e lucchetti. Sono comparsi cartelli con la scritta Chiuso per incompetenza. «Vi chiudiamo fuori come voi avete chiuso fuori noi», scrivono dal comitato. «Dopo 8 mesi di immobilismo siamo ancora costretti a chiedervi più spazi, più trasporti, più assunzioni, più sicurezza, più soldi. Le stesse rivendicazioni portate da maggio. È arrivato il momento, e le occupazioni degli ultimi giorni lo dimostrano, che i giovani si riprendano i loro diritti, il loro presente e il loro futuro».

«L’azione di questa notte, promossa dal Comitato in Difesa della Scuola, vuole essere, spiegano studenti e studentesse in una nota, un chiaro atto di attacco e denuncia a una classe politica divisa e senza prospettiva sociale. Saremo noi a occuparci della scuola. Restate a casa voi che molteplici volte vi siete dimostrati incapaci, lasciate spazio e possibilità di fare a persone il cui sguardo è volto verso il futuro. Il futuro di noi studenti».

Il Cts

Ieri, in una mossa inconsueta, il ministro della Salute aveva convocato d’urgenza il Comitato Tecnico Scientifico per un parere (e un avallo scientifico) sulla riapertura delle scuole di poche ore dopo. Con quello che viene visto come un sì incondizionato alla ripartenza delle attività in presenza, il Cts per non avrebbe fatto altro che ribadire una posizione pregressa. Sì, si deve tornare in classe, perché i danni di apprendimento, psicologici e sociali alle generazioni più giovani hanno bisogno di risposte e sono preoccupanti. Ma sì, si deve continuare a tenere conto delle specificità regionali e solo le amministrazioni conoscono a fondo la realtà dei territori e dei loro contagi. Una realtà che non è omogenea (anzi) in tutto il paese.

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