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Parla il fratello di Luca Ventre: «L’hanno ucciso in ambasciata soffocandolo. Ecco perché voleva fuggire dall’Uruguay» – L’intervista

27 Gennaio 2021 - 02:02 Fabio Giuffrida
Luca stava passando un periodo difficile: dalla separazione con la sua ex compagna al tunnel della droga. Dall'app "spia" sul cellulare alla convinzione che qualcuno lo volesse uccidere. Troppe le cose che non tornano e su cui facciamo chiarezza con il fratello Fabrizio

La storia di Luca Ventre, il 35enne di Senise (Potenza), morto dopo essere entrato, scavalcando la recinzione, nell’ambasciata italiana di Montevideo in Uruguay, è ben più complessa di come sembra. La famiglia è convinta che sia stato ucciso dal poliziotto uruguayano che, vedendolo entrare nella sede diplomatica, lo ha placcato per 31 minuti tenendolo, poi, per 16 minuti con il braccio sul collo.

Secondo la polizia, invece, Luca era in uno stato di alterazione e, dopo essere stato fermato dall’agente, sarebbe deceduto in ospedale per arresto cardiaco. Ma ci sono troppe cose che non tornano e diverse sono le piste che gli investigatori stanno battendo in queste ore per far luce su una vicenda che rischia di replicare i casi tristemente noti di Giulio Regeni e Mario Paciolla. Casi internazionali mai risolti del tutto.

A Open, oggi, parla il fratello di Luca Ventre, Fabrizio, il primo che ha visto le immagini delle telecamere di videosorveglianza e che, senza saperlo, ha assistito a quello che lui ritiene essere l’omicidio del fratello. «Luca è morto lì in ambasciata, non in ospedale. Hanno tentato di insabbiare il caso ma non ci sono riusciti. Abbiamo trovato un muro di gomma, Di Maio non ci ha mai chiamati e, se non fosse stato per la nostra insistenza, avrebbero fatto passare la morte di mio fratello per un semplice malore», ci dice.

I fatti

Luca Ventre il 1° gennaio 2021 va all’ambasciata italiana in Uruguay, alle 7 del mattino, con una cartella (come mostrano i video). Notando che il cancello è chiuso e che nessuno risponde al citofono (è un giorno festivo), decide di scavalcare la recinzione e di introdursi illegittimamente nella sede diplomatica chiusa. Lì viene raggiunto da un agente della sicurezza e da un poliziotto che lo fermano e lo placcano per 31 minuti con metodi piuttosto discutibili, tenendolo fermo e facendo pressione con un braccio sul collo per 16 minuti. Luca non è armato, non oppone resistenza (nonostante la stazza, 1.80 cm per 90 chili).

«Si inginocchia persino volontariamente, con le mani dietro la schiena, quando viene arrestato», aggiunge il fratello. Dalle immagini si vede che il suo corpo non risponde più agli stimoli. Immobile, quasi impotente. La famiglia vuole capire se in quel momento Luca fosse già morto. E, in effetti, i dubbi sono tanti visto che, in un secondo momento, viene trascinato di peso da altri poliziotti per essere portato in ospedale dove, secondo la ricostruzione ufficiale, morirà poco dopo. Due domande sorgono spontanee: perché Luca aveva tutta questa fretta di parlare con i funzionari dell’ambasciata? Perché voleva scappare dall’Uruguay? Cosa era successo?

L’app “spia” sul cellulare

Luca Ventre

A spiegarcelo è il fratello Fabrizio: «Era preoccupato che qualcuno potesse ucciderlo e sequestrarlo. L’ultima notte non aveva dormito nemmeno a casa sua ma in un hotel della zona. Tra l’altro sul suo cellulare pare che sia stata ritrovata un app “spia” per tenere sotto controllo i suoi messaggi e le sue chiamate». Qualcuno lo stava monitorando? Chi e perché? «Qualche giorno prima della sua morte era stato alla polizia a denunciare che qualcuno avrebbe voluto rapirlo ma gli agenti lo hanno preso per matto. Secondo loro era solo una psicosi», spiega Fabrizio Ventre.

Ed è su questo punto che si apre uno scenario inedito: Luca stava passando un periodo difficile, era depresso, voleva scappare da quel Paese, dove abitava da 8 anni, dove gestiva le attività di famiglia e dove 8 mesi fa era nata la figlia a cui era attaccatissimo, come mostrano le foto. Avrebbe lasciato tutto rinunciando anche alla piccola?

La sua (ex) compagna

Luca Ventre

Dalle notizie in nostro possesso, sembrerebbe che i rapporti tra Luca e l’ex compagna si fossero incrinati. Luca e C. (la chiameremo così nel rispetto della sua privacy in quanto non coinvolta nelle indagini, ndr) si erano lasciati ufficialmente a settembre. Lui garantiva un mantenimento di 200 euro al mese alla figlia e viveva in un’altra casa, da solo. Pare che avesse espresso il desiderio di portare la piccola in Italia perché non voleva farla crescere lì. Ma sapeva bene che sarebbe stato impossibile.

Intanto il Covid aveva aggravato la situazione costringendolo a trasformare uno dei suoi locali in una pizzeria d’asporto a causa delle restrizioni per il contenimento della pandemia. Dopo la separazione dalla compagna – e questo è un dato rilevante – Luca avrebbe ripreso a fare uso di droga, specialmente di cocaina (da dicembre in poi).

La droga

Una dipendenza, quella della droga, di cui la famiglia era a conoscenza – la madre, nell’attesa del suo rientro in Italia, si era già attivata per proporgli di andare in comunità di recupero a San Patrignano – e che lo perseguitava da anni, già prima dell’arrivo in Uruguay. Il particolare dell’uso dello stupefacente è fondamentale in questa vicenda per due motivi: Luca potrebbe aver avuto manie di persecuzione, psicosi del tutto infondate. Si sentiva minacciato. Ma da chi? E per quale motivo? Forse per questo si è spinto oltre scavalcando la recinzione dell’ambasciata? E, se fosse stato davvero in uno stato di alterazione psicofisica, l’intervento della polizia prima e quello dei medici dopo è stato corretto? Questo è un punto su cui torneremo dopo.

I cartelli della droga

In Uruguay il mercato della droga è florido. Trovarla non deve essere affatto difficile. Ma – assicura il fratello – Luca «non aveva nulla a che fare con i cartelli della droga, di certo non spacciava». Il rischio è che possa essere finito nel mirino di qualcuno, magari «qualcuno che si stava interessando a lui come possibile fonte di guadagno».

Per questo aveva paura. Luca era benestante: dall’Italia era partito con un tesoretto di 100 mila euro con cui in Uruguay avrebbe comprato diverse case – poi affittate, e da cui ricavava almeno 3 mila euro al mese – visto il costo basso della vita. Aveva una macchina che non passava inosservata e uno stile di vita molto alto, «appariscente». Gestiva un bar e aveva avviato una collaborazione con la Camera di commercio nel settore dell’import-export di prodotti italiani, in particolare cioccolato.

Una vita «difficile»

Dall’Italia era fuggito approfittando dei soldi ricevuti: i 100 mila euro erano il frutto di un risarcimento a seguito di un incidente stradale in moto dal quale era uscito con le «vertebre lesionate e un anno di sedia a rotelle» oltre a un tutore e a un’infezione all’orecchio. Era il 2012. Un episodio che gli ha stravolto la vita: è stato costretto a lasciare la sua Vicenza (e ad andare in Uruguay) – dove abitava con il fratello e la madre – anche perché, a causa dell’incidente, non poteva più fare il magazziniere. Non poteva più caricare la merce, prendeva spesso antidolorifici per «dolori continui». Da quel momento la droga ha fatto “ingresso” nella sua vita. Una volta è stato «trovato anche con un sacchetto di pasticche in discoteca» che gli erano costate una condanna a 2 anni di arresti domiciliari.

Dove è morto Luca? Perché è importante saperlo

Tornando alle indagini, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio preterintenzionale. La famiglia, invece, ha già fatto sapere di voler chiedere un’ulteriore autopsia e di voler portare la salma in Italia. Vogliono vederci chiaro. «La versione ufficiale – spiega il fratello – era quella che Luca fosse morto per uno stupido malore, nessuno ci aveva detto del fermo, peraltro fatto in quel modo dal poliziotto uruguayano. Solo quando abbiamo ottenuto il video, tutti si sono svegliati, Farnesina compresa. Mi sembra chiaro che l’interesse dell’ambasciata italiana dell’Uruguay fosse quello di togliere un morto dalla sede diplomatica, facendo credere al massimo che si fosse trattato di un caso di malasanità».

«Ma così non è, mio fratello non è morto in ospedale. Il poliziotto lo ha strangolato e lui è morto nella sede diplomatica. Lo hanno massacrato. Massacrato. E da lì è uscito morto». Dalle immagini si vede che Luca esce dall’ambasciata trascinato di peso dai poliziotti. Non sembra dare segnali di vita. E così anche quando viene trasportato dagli agenti all’interno della struttura sanitaria su una sedia a rotelle.

Perché allora far credere che sia morto in ospedale e non nella sede diplomatica? Cosa cambia? Due le ipotesi: la prima, se fosse morto all’interno dell’ambasciata, la competenza giurisdizionale sarebbe stata solo e soltanto dell’Italia. Così invece le cose si complicano: Luca è morto in Uruguay (in ospedale) e non in territorio italiano (nell’ambasciata). La seconda: si vuole far credere che il decesso sia avvenuto in ospedale così da sgombrare il campo dal sospetto che Luca sia morto in seguito allo strangolamento.

Le testimonianze contraddittorie

A questo si aggiungono le innumerevoli contraddizioni dei testimoni oculari. Ognuno dice una cosa differente. C’è chi dice che fosse già morto, chi che avesse le convulsioni (essendo morto poco dopo) e chi che avesse dato in escandescenza al punto da indurre i sanitari a calmarlo con dei farmaci. Ma dalle immagini sembra tutto tranne che una furia. Luca, ufficialmente, è morto di arresto cardiaco, «non causato da un infarto visto che il suo cuore era in ottime condizioni».

Per il medico legale non ci sono evidenti segni di lesioni o trauma ma la causa della morte si conoscerà solo dopo l’esame tossicologico. Il suo cervello presenterebbe, tra l’altro, «uno stato edematoso», compatibile con una morte per asfissia. Dall’autopsia, infine, emergono anche alcune punture da aghi sul collo, che coincidono con le iniezioni di due farmaci – midazolam ed haloperidol, ovvero un potente sedativo e un antipsicotico usato per trattare la schizofrenia – che, se «fossero stati davvero somministrati sotto effetto di sostanze stupefacenti, lo avrebbero potuto uccidere». Il giallo della morte di Luca s’infittisce.

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