Parlano i Long Covid, i pazienti mai guariti davvero: «Abbandonati dai medici, ci trattano da malati immaginari». E si organizzano su Facebook
Si sono ammalati, sono guariti ma continuano ad avere sintomi. È l’esercito dei Long Covid, quelli per cui il virus non può essere un ricordo neanche dopo averlo battuto. A distanza di mesi dal tampone che li ha certificati guariti, uomini, donne, anziani ma anche giovani, continuano a vivere con i sintomi da cui speravano di essere abbandonati. «Il 4 febbraio festeggio 11 mesi di febbre quotidiana e la mia vita a 43 anni è quella di una ottantenne»: la telefonata di Francesca Volpi, una di loro, comincia così. Stanchezza cronica, dolori diffusi, perdita della memoria, affanno, problemi all’olfatto e al gusto. Una lotta quotidiana che a distanza di 10, anche 12 mesi, i Long Covid non sanno più come vincere, sconfortati dal mancato aiuto dei loro stessi medici. «I sintomi non ci hanno abbandonato, il sistema sanitario sì», racconta Leila, amministratrice del gruppo Facebook Long Covid/COVID-19 Italia.
Sono i gruppi social l’alternativa trovata da chi soffre la difficoltà di un nemico che non va via: «Il mio medico di base non mi ha creduto e continua a non credermi», spiega Leila, «sentirsi dire che si sta esagerando, che è solo una suggestione psicologica è quanto di più frustrante si possa ascoltare quando si sta male». Da qui l’idea di fondare un gruppo Facebook, uno dei tanti nati nell’ultimo periodo, per condividere esperienze e difficoltà di un calvario fisico e psicologico. «Faccio ancora fatica a respirare e questo odore di bruciato non se ne va, capita solo a me?» chiede un utente, «A distanza di 5 mesi soffro ancora di forti dolori alle gambe, la stanchezza perenne mi sta distruggendo, non so che fare, consigli?», scrive un altro. E così in un rimbalzo di preoccupazioni e suggerimenti, i malati mai guariti davvero cercano un modo per aiutarsi.
«Mi si è trasformata l’esistenza»
«Mi si è trasformata l’esistenza, sono sempre stata una persona sana, dal quel maledetto marzo mi si è stravolto tutto quanto». Francesca Volpi si è ammalata 11 mesi fa, guarita dalla Covid, non è mai più stata bene. Una dura lotta contro una febbre che non va via, i risparmi di una vita spesi per girare il Paese alla ricerca di una risposta, la difficoltà di continuare a fare il suo lavoro di insegnante. «Butti via il termometro mi hanno detto»: ma per Francesca il senso di abbandono è stata la costante di un percorso mai finito. Nessuno dei sintomi accusati durante e dopo la Covid avevano mai fatto parte del suo quadro clinico. Neanche quella che i medici chiamano la brain fog, la “nebbia della mente”, a causa della quale Francesca non riusciva più neanche a vedere un film in famiglia.
«Per i medici eravamo e siamo solo degli ansiosi, dei malati immaginari», continua, raccontando le decine di consulti avuti durante gli ultimi mesi. Fino a quando un dottore del luogo in cui vive, a Città di Castello, ha messo insieme tutti i sintomi che accusava: «Tracce di una polmonite tipica da Covid nella tac, macchie sul corpo, disturbi neurologici, per i quali mi avevano diagnosticato perfino una possibile SLA, e febbre». Se a quel punto la diagnosi era stata chiaramente di Long Covid, la terapia non era stata altrettanto chiara. «Non abbiamo risposte, mi hanno detto». Che la scienza non abbia al momento risposte, i pazienti Long Covid riescono anche ad accettarlo. Ma quello a cui si ribellano più di tutto è l’indifferenza.
Il pericolo dietro l’angolo allora è quello di una cura fai da te, che gli ideatori dei gruppi dichiarano di voler scongiurare. «Nel mio gruppo è vietato dare consigli farmacologici, quello che è importante è la condivisione delle esperienze, affinché le persone possano capire quanto non siano sole». Morena Colombi è l’amministratrice di Noi che il Covid lo abbiamo sconfitto .SINDROME POST COVID #LongCovid, quasi 15mila persone che quotidianamente condividono esperienze di una sofferenza, per ora, senza soluzione.
«Mercoledì ci incontreremo con il presidente dei medici di Milano per chiedere un ascolto concreto sul territorio» fa sapere Morena. Il pensiero è anche per tutte quelle persone «che non sono nella rete dei social», continua, «e che vivono quindi il problema ancora più in solitudine, arrivando a dubitare persino di se stessi e della propria salute mentale». Ed è a questo proposito che i gruppi hanno pensato a una petizione su Change.it: «La richiesta è di cure, sperimentazione e sostegno da parte dello Stato, non possiamo essere ignorati come è stato fatto finora», spiegano.
«A 29 anni con problemi ai polmoni e al cuore, non ditemi che prima o poi passerà»
Chiara Perego ora ha 30 anni, quando ha contratto la Covid ne aveva 29. Ammalatasi a febbraio 2020, poi guarita dall’infezione, nonostante la giovane età, non è più stata la stessa. «Ho costantemente un fiato cortissimo, per non parlare della mia totale incapacità nell’esercizio fisico, ho tentato in tutti i modi ma non ci riesco». Il ciclo di visite di Chiara non è ancora finito ma la storia della giovane è una delle più complesse tra tutte le testimonianze di chi combatte contro la Long Covid. Se nei mesi scorsi i dati ci hanno abituato a considerare i giovani come la categoria meno soggetta a sintomi, quelli riguardanti il “lungo Covid” non fanno eccezioni di età. «I medici ti lasciano allo sbaraglio, nel frattempo sei chiamato a vivere nel mondo di sempre, con il lavoro di sempre che si aspetta da te quello che da sempre sei stata in grado di fare e che non riesci a fare più» racconta Chiara. Anche in questo caso il medico di famiglia ha sottovalutato la difficoltà raccontata dalla ragazza, «così come la maggior parte degli esperti che ho consultato, la mia esperienza con il sistema sanitario è stata pessima», spiega.
Dopo decine di tentativi la diagnosi per Chiara è stata di un ritardo nell’eliminazione dell’anidride carbonica nei polmoni. In sostanza un accumulo di Co2 che le crea continuo affanno e che da mesi non le permette più di svolgere come prima neanche il suo lavoro. «Il problema non è più andato via e i carichi che ero solita alzare senza problemi durante il mio turno di lavoro sono diventati pesanti il doppio. A 29 anni ho dovuto cambiare mansione». Ma non è finita. L’altro problema con cui la Long Covid di Chiara la costringe a combattere è quello cardiaco. «Secondo i cardiologi ciò che ha causato il mio attuale problema al cuore è stato un danno polmonare. L’unico problema mai avuto a livello respiratorio è la polmonite bilaterale della Covid». Già dai primi giorni di malattia il battito cardiaco di Chiara era stato «estremamente anomalo», arrivando fino a «140 battiti al minuto», una condizione mai vissuta prima dalla ragazza.
Da quel momento la tachicardia non l’ha più abbandonata. Dopo decine di visite con generiche diagnosi di «cuore stressato», lo specialista a cui Chiara è tuttora in affidamento ha trovato una terapia mirata a mettere un freno ai suoi 155 battiti attuali al minuto. «Un percorso che al 90% dovrò seguire per tutta la vita, è come se il mio cuore non fosse più in grado di auto regolarsi». Come se non bastasse, ora le giornate della ragazza sono scandite da forti fitte al petto delle quali i i medici stanno ancora cercando la causa.
«Per favore, non soffrire in silenzio»: un fenomeno che non è soltanto italiano
Il fenomeno non riguarda solo l’Italia. Numerosi gruppi social nel Regno Unito e Usa hanno anticipato le realtà italiane nate da poco. «Per favore, non soffrire in silenzio», si legge nella descrizione del gruppo Long Covid support fondato dal 29enne inglese Dean Dobson, a cui è stato diagnosticato un Covid lungo, nonostante non sapesse nemmeno di aver avuto il virus otto mesi fa. «Questo è un gruppo per darsi consigli. Per favore, non soffrire in silenzio» si legge nel messaggio di benvenuto di Dobson.
La scienza non è all’oscuro
La scienza non è certo all’oscuro della presenza dei pazienti Long Covid: lo studio più completo a riguardo è sulla rivista The Lancet. La descrizione che si legge è quella di uno scenario complesso in cui i pazienti inchiodati ai sintomi sono sempre di più. L’elenco dei sintomi persistenti e nuovi segnalati dai pazienti è ampio, senso di costrizione toracica, disfunzione cognitiva e stanchezza estrema. Nel Regno Unito, a metà gennaio 2021, ci sono stati circa 3,2 milioni di casi confermati di COVID-19.
Tra questi almeno «1 persona su 5 presentava sintomi che duravano oltre le 5 settimane. 1 su 10, sintomi che duravano oltre le 12 settimane», si legge sul documento. Ma la ricerca in corso e lo stesso studio di Lancet specifica quanto le conoscenze sul tema siano ancora insufficienti: «Poiché il COVID-19 (e la sindrome post-COVID-19) sono ancora condizioni così nuove, la linea guida è adattiva e verrà aggiornata non appena saranno disponibili nuove prove. Alcune lacune sono evidenti e sarà fondamentale colmarle il prima possibile».
Se la scienza è consapevole di un problema da dover risolvere e di migliaia di persone in difficoltà da dover aiutare, i medici del territorio sembrano però non essere pronti a rispondere alla chiamata di assistenza necessaria. «Ora chiediamo di essere riconosciuti dal sistema sanitario come una vera e propria categoria da tutelare sotto il punto di vista medico e lavorativo» riprende la giovane Chiara, «la realtà è che siamo cambiati».
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