I numeri in chiaro, Laurenti su Johnson & Johnson: «Cautela comprensibile, ma l’Italia può decidere di non fermarlo» – Il video

Secondo la professoressa di Igiene dell’Università Cattolica di Roma, anche alla luce del caso AstraZeneca occorre essere più equilibrati: «I rischi dell’infezione superano di gran lunga quelli della vaccinazione»

Il bollettino di oggi sull’epidemia da Coronavirus, con 242 nuovi ingressi in terapia intensiva, conferma che la pressione sui servizi sanitari è sempre molto elevata. Ma rispetto a sette giorni fa in rianimazione ci sono 217 pazienti in meno, mentre in area non critica il calso è di 2.385 persone. Per Patrizia Laurenti, professoressa di Igiene all’Università Cattolica di Roma, si tratta di piccoli segnali di miglioramento. Ma questi indicatori saranno gli ultimi a scendere, assieme ai decessi: «Penso che ci vorrà ancora un mese pieno per osservare una flessione significativa. Non voglio fare terrorismo, ma dobbiamo essere realisti».


Per quanto riguarda invece i dati di contagio, nelle prossime due-tre settimane sarà importante confrontare l’andamento medio dei nuovi positivi con quello delle settimane precedenti, per verificare la tendenza al calo che si è manifestata a partire dalla fine di marzo. Anche perché, come sottolinea la professoressa, «abbiamo riaperto le scuole e questo rappresenta un’incognita rispetto alla circolazione virus». L’altro grande punto interrogativo è rappresentato dalla campagna vaccinale: «Deve subire una spinta importante, ma ancora una volta è messa a rischio dalle comunicazioni che arrivano da Oltreoceano. Stavolta spero davvero che, anche alla luce dal caso AstraZeneca, le comunicazioni siano più corrette, più equilibrate e più rispondenti alla realtà dei fatti».


Tradotto: l’Italia dovrebbe decidere di partire comunque con le somministrazioni di Johnson & Johnson, nonostante lo stop precauzionale deciso dalla Fda negli Stati Uniti? Risponde Laurenti: «Il vaccino è stato approvato dall’Ema e questo a noi basta per poter partire con le somministrazioni. La cautela è comprensibile e i casi di reazioni avverse vanno approfonditi, ma bisogna tenere conto che gli Usa sperimentano per la prima volta un vaccino a vettore virale, con un’attenzione molto più elevata rispetto a quella riservata ai vaccini a mRna». L’Italia potrebbe quindi decidere di «non fermare» Johnson & Johnson. Ma la cosa più importante è che «stavolta la comunicazione sia uniforme dal punto di vista del messaggio che si dà alla popolazione. I vaccini sono sicuri ed efficaci e i rischi dell’infezione naturale superano di gran lunga i rischi della vaccinazione. Ancora non c’è evidenza del contrario».

Il vero pericolo per la campagna vaccinale è infatti rappresentato dalla possibilità che nella popolazione aumenti il livello di sfiducia: «Dopo il caos su AstraZeneca, io stessa ho potuto notare nel centro vaccinale in cui lavoro un aumento della frequenza della domanda: “Ma che vaccino mi fate?”. Ecco, la nostra risposta deve essere un’occasione di educazione. Comunichiamo qual è il vaccino somministrato, ma allo stesso tempo ne approfittiamo per raccomandare la fiducia in altre tipologie di vaccino e il rispetto degli appuntamenti, perché non si verifichino disdette che davvero potrebbero compromettere il successo delle campagna vaccinale», l’unica arma che abbiamo per sconfiggere l’epidemia.

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