Gaza, al via il vertice Ue per disinnescare il conflitto. Ma l’attivismo di Merkel e Macron appanna l’Europa

La Commissione europea e gli Stati membri sono i maggiori fornitori di aiuti economici ai palestinesi, eppure non hanno contribuito a costruire una nuova leadership palestinese e influenzare i negoziati. E oggi manca una risposta comune forte

Oggi i ministri degli esteri dell’Unione europea si riuniranno alle 14 in una videoconferenza per discutere dell’escalation di violenza tra israeliani e palestinesi. L’annuncio è stato dato direttamente da Josep Borrell, l’Alto rappresentante della politica estera. Il vertice dà seguito alle altre dichiarazioni di Bruxelles sugli sforzi diplomatici per disinnescare il conflitto. Intanto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua a sostenere la più grande campagna militare contro Hamas dall’ultima escalation Gaza-Israele del 2014 definendo la sua come «una guerra giusta e morale», aggiungendo che le forze armate stanno facendo di tutto per limitare i danni ai civili. «Continueremo per tutto il tempo necessario a riportare la calma», ha detto Netanyahu, ringraziando «il presidente USA Joe Biden e gli altri leader che ci sostengono». Le parole quelle di Netanyahu arrivano dopo che Israele ha distrutto l’edificio residenziale che ospitava gli uffici di Associated Press e Al Jazeera, un’azione che ha suscitato particolare sgomento e indignazione. Il conflitto e la spirale di violenza dunque prosegue, anche se gli analisti considerano vicino se non un cessate il fuoco, almeno una tregua per i soccorsi. 


Il ritorno del conflitto israelo-palestinese

L’escalation di questi giorni è come un fulmine a ciel sereno: era da quasi sette anni che si arrivava a tanto. La prima guerra Gaza-Israele di questo tipo risale al 2008-2009 (Piombo fuso), seguita dall’escalation del 2012 (Pilastro difensivo) e infine la pesantissima guerra del 2014 (Margine protettivo), tutte concluse con un cessate il fuoco che non ha modificato lo status quo. Le violenze di questi giorni hanno riacceso l’attenzione su un conflitto che accompagna le relazioni internazionali e divide le opinioni pubbliche europee da più di 70 anni, evolvendosi e trasferendosi di generazione in generazione. 


Gli europei, divisi e ingessati, non fanno la differenza

Anche stavolta i governi hanno risposto all’escalation Gaza-Israele con il classico rito di appelli di ritorno alla calma, preoccupazione per le vittime civili, condanne alle violenze e un invito al dialogo. L’Italia non fa eccezione. Il ministro degli esteri, Luigi Di Maio, ha detto: «Devono cessare le violenze e tutti gli attacchi tra Israele e Palestina», e poi ha aggiunto: «l’Ue deve prendere una posizione chiara e unitaria e lavorare per spingere le parti a sedersi al tavolo dei negoziati». Ma l’attenzione al rispetto della semantica diplomatica si contrappone alla brutalità della realtà sul campo e alla sproporzione delle forze, minando la credibilità dei governi e delle istituzioni internazionali. Alcuni paesi – in particolare Germania e Francia – affrontano la crisi con il terrore che l’infiammarsi del conflitto abbia ripercussioni sul territorio nazionale con un aumento degli attacchi antisemiti. Nelle manifestazioni del fine settimana nelle città tedesche sono state bruciate bandiere di Israele e vandalizzate sinagoghe, mentre la manifestazione pro-Palestina di Parigi è stata prima vietata dal governo, e poi dispersa con la forza dalla polizia quando i manifestanti sono scesi in strada comunque. 

La linea più nettamente filo-israeliana è sostenuta dai paesi dell’Europa orientale: dai Paesi baltici alla Romania, passando per l’Austria di Sebastian Kurz e i quattro del Gruppo di Visegrad, dove qualsiasi iniziativa diversa viene bollata come anti-israeliana. A Vienna e Praga la bandiera israeliana è stata issata sui palazzi del governo insieme alla bandiera nazionale e dell’Ue. Gli unici a differenziarsi con una linea più vicina ai problemi dei palestinesi sono Irlanda e Svezia, con il risultato che l’ambasciatore irlandese è stato convocato dal ministero degli esteri di Israele.

L’attivismo personale di Merkel e Macron

Il ruolo di Bruxelles e del vertice di oggi è stato scavalcato anche dai leader europei più rappresentativi. Ieri la cancelliera Angela Merkel ha chiamato Netanyahu per chiedere la fine delle violenze ed esprimere il suo sostegno al diritto di Israele a difendersi dall’aggressione di Hamas, auspicando una conclusione rapida delle ostilità. Merkel ha promesso al premier israeliano un’azione decisa contro l’antisemitismo in Germania, e sicuramente nella dichiarazione di oggi ci sarà un riferimento all’ondata alle azioni antisemite e anti-israeliane in Europa. Il presidente Emmanuel Macron invece ha parlato con il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi, in visita a Parigi per un vertice sul Sudan. Macron e al-Sisi hanno deciso di coordinare gli sforzi per mediare un cessate il fuoco insieme ai funzionari del Qatar, degli USA e dell’Onu. La mediazione egiziana è da sempre fondamentale per risolvere i conflitti con Gaza, visto che l’unico confine della striscia non controllato da Israele è quello con il Sinai egiziano, mentre il Qatar è il paese che in cui risiedono i leader politici di Hamas.

Bruxelles non farà la differenza, ma potrebbe fare di più

Nonostante l’Ue faccia parte del Quartetto diplomatico (USA, Russia, Onu, Ue) incaricato di trovare una soluzione al conflitto, Bruxelles sembra aver rinunciato a esercitare pressioni concrete su Israele e le istituzioni palestinesi. Eppure, è dagli anni ’90 che la Commissione europea e gli Stati membri insieme sono i maggiori fornitori di aiuti economici alla Palestina. L’Ue ha una leva concreta per influenzare il negoziato e contribuire a costruire una leadership dell’Autorità nazionale palestinese più affidabile, in grado di agire come un vero attore politico. Stavolta però l’inconsistenza europea non è tanto lontana da quello di USA, Russia e Onu. Anche l’amministrazione Biden è stata presa di sorpresa da questa escalation, in un momento in cui tutti a Washington desiderano occuparsi di altro. Nel frattempo gli elementi che rendono irrisolvibile il conflitto continuano e continueranno a svilupparsi e cronicizzarsi. Il desiderio non confessato – anche del vertice europeo di oggi –  è che si arrivi quanto prima al solito cessate il fuoco mediato dall’Egitto e a dimenticarsi nuovamente del conflitto, fino alla prossima escalation.

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