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La lettera di Seid Visin scritta nel 2019 contro il razzismo: «Ovunque sento gli sguardi schifati per la mia pelle»

05 Giugno 2021 - 16:00 Redazione
seid visin razzismo
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Nel 2019 il giovane scriveva: «Ero riuscito a trovare un lavoro e dentro di me è cambiato qualcosa: come se dovessi dimostrare alle persone che non mi conoscevano che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco»

[Aggiornamento: A seguito delle dichiarazioni della famiglia, e contrariamente alle fonti che avevano diffuso la lettera, il testo che circola risalirebbe al 2019]

Avrebbe compiuto 21 anni fra qualche mese. Ma Seid Visin, giovane 20enne arrivato in Italia dall’Etiopia da bambino, adottato da una coppia salernitana, con un passato nelle giovanili del Milan, è stato trovato senza vita giovedì 3 giugno nella sua abitazione di Nocera Inferiore, nel salernitano. Durante i funerali del giovane è stato letto il suo atto di accusa contro il razzismo, che aveva messo nero su bianco in un post du Facebook scritto nel 2019. I genitori di Visin hanno chiarito che «il gesto estremo di Seid non deriva da episodi di razzismo».

La lettera di Seid Visin contro il razzismo

«Ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone». Un racconto amaro che è stato letto integralmente durante i funerali del giovane tenutisi nella mattinata di oggi, 5 giugno. Seguite da un lungo applauso, le parole di Seid sono state diffuse nella chiesa di San Giovanni Battista a Nocera Inferiore dove parenti e amici si sono riuniti per l’ultimo saluto.

Seid scriveva: «Io non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera».

«Ovunque vada sento il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone»

Ma con l’andar del tempo qualcosa era cambiato, in peggio. «Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone – scriveva Visin -. Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro».

Visin: «Era come se mi vergognassi di essere nero»

Un’esperienza che ha portato un profondo cambiamento dentro il giovane, che raccontava: «Era come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco. Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura». 

La paura e la delusione crescente

A quale paura faceva riferimento Visin? Alla «paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano “Capitano Salvini”». E a questa paura si è aggiunta «la delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro CasaPound». «L’altro giorno – si legge ancora nella lettera – mi raccontava un amico, anch’egli adottato, che un po’ di tempo fa mentre giocava a calcio felice e spensierato con i suoi amici, delle signore si sono avvicinate a lui dicendogli: “Goditi questo tuo tempo, perché tra un po’ verranno a prenderti per riportarti al tuo paese”». 

Visin: «Non voglio elemosinare pena, ma ricordare la sofferenza che vivo»

E infine Visin scrive: «Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”».

Foto in copertina: Seid Visin / AC Milan / Twitter

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