Il malessere, l’invidia, il percorso terapeutico: cosa sappiamo della morte di Giuseppe De Donno

La procura di Mantova apre un’inchiesta. L’amico: è stato lasciato solo. Il malessere interiore e i dissapori in famiglia dietro la serenità persa di recente

Mentre la procura di Mantova ha aperto un’inchiesta sulla morte di Giuseppe De Donno, domani a Curtatone si aprirà la camera ardente dell’ex primario e pneumologo e primario morto impiccato a 54 anni. I magistrati hanno sequestrato computer e cellulari alla ricerca di una responsabilità sulla sua morte, mentre oggi il Corriere della Sera parla di «qualche problema maturato anche in famiglia» negli ultimi tempi. Meno di un mese fa, ricorda la Repubblica, De Donno si era dimesso e dal 5 luglio era tornato a fare il medico di base a Porto Mantovano, «per recuperare un po’ di serenità, era davvero una bella persona», come racconta al quotidiano Roberto, un suo collega al Poma e amico. Migliaia di pazienti volevano farsi curare da lui, tanto da fare la coda all’alba per poterlo avere come medico curante.


Raffaello Stradoni, direttore generale del Poma, dice al quotidiano che «il periodo della pandemia l’aveva profondamente provato e aveva acutizzato un malessere interiore che lo tormentava fin da prima del Covid». Secondo Repubblica De Donno aveva deciso di curare quel malessere intraprendendo un percorso terapeutico. Ma dietro la sua ombrosità c’erano anche alcuni dissapori in famiglia. Anche se secondo un suo collaboratore stretto, la serenità il medico l’aveva in realtà persa più recentemente: «Da ottobre non era più lui, aveva un’ombra dentro, negli ultimi giorni aveva lo sguardo assente, c’era qualcosa che non andava. Era stato lasciato solo, verso di lui c’era molta invidia e lui soffriva molto gli attacchi nei suoi confronti». L’obiettivo degli inquirenti è comprendere se qualcuno possa aver indotto l’ex primario, che il 5 luglio scorso aveva iniziato le sua nuova attività di medico di base dopo essersi dimesso dall’ospedale, a togliersi la vita, senza lasciare alcun messaggio. Già ieri sera i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari, la moglie e i due figli, mentre sono stati posti sotto sequestro i cellulari e il computer del medico. Il corpo del medico si trova alle camere mortuarie dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, in attesa di essere restituito alla famiglia per i funerali.


Giuseppe De Donno morto e il plasma iperimmune

Nei mesi caldi della pandemia De Donno era diventato il simbolo della lotta al virus condotta con il plasma prelevato dagli infettati e guariti e poi trasfuso nei malati. La sua battaglia per imporre la terapia aveva suscitato molte polemiche, dividendo sui social network l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari. Ed era un assiduo frequentatore, fino a qualche mese fa, di Facebook, dove anche con falsi profili discuteva con se stesso dell’efficacia del plasma iperimmune. Qualche tempo fa ne era però uscito quando si era accorto che tanti dei suoi seguaci erano no vax. E dal giorno della sua morte sul web hanno cominciato a prosperare le teorie del complotto, secondo le quali il medico «Lo hanno ucciso i piccoli schiavi con le loro menzogne, con la loro cecità imposta, con il loro odio spacciato a reti unificate. La sua colpa è stata salvare delle vite, ma salvarle davvero, curando la malattia che li stava uccidendo, strappandoli da un protocollo che li avrebbe condannati».  Ieri De Donno è stato ricordato nelle piazze che hanno protestato contro il Green Pass obbligatorio. La tesi è sempre la stessa: De Donno è morto perché aveva trovato nel plasma iperimmune la cura per Covid-19. In realtà le ricerche – anche italiane – non hanno «evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni».

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