I giovani che combattono la psoriasi, De Pità: «Per vergogna trascurano le cure, ma le soluzioni ci sono. Non bisogna scoraggiarsi»

3 milioni in Italia, 125 milioni nel mondo. La patologia cronica della pelle nel periodo di pandemia si è nutrita di stress e depressione da isolamento. La dermatologa Ornella De Pità spiega le frontiere terapeutiche per tutti i livelli di gravità

125 milioni di persone nel mondo, 3 milioni in Italia, di cui la maggior parte tra i 20 e i 40 anni. Sono i numeri della psoriasi, patologia cronica della pelle, ma non solo, che nel periodo di pandemia si è nutrita di stress e depressione da restrizioni e lockdown. I giovani sono senza dubbio i più colpiti. Pazienti silenti e vergognosi, spesso trascurano terapie fondamentali. A fare luce su realtà ancora troppo invisibili è la professoressa Ornella De Pità, dermatologa e direttrice della Struttura complessa dell’ospedale Cristo Re di Roma.


Professoressa, di cosa soffrono esattamente le persone affette da psoriasi e chi sono i profili più interessati?


«Stiamo innanzitutto parlando di una patologia della pelle che tende ad essere cronica e recidivante, due degli aspetti più difficoltosi. Altra cosa che va subito chiarita, e su cui spesso si fa confusione, è che la psoriasi non è infettiva, non contagia nessuno e permette dunque a chiunque ne soffra di poter vivere serenamente un contesto di socialità. Può coinvolgere tutta la cute, in maniera minima o più importante, manifestandosi nella maggior parte dei casi con la perdita di strati di pelle, frequente prurito e, soprattutto nel caso dei giovani, un grosso calo di benessere fisico, psichico e sociale. In genere la fascia d’età più colpita è quella che va dai 20 ai 40 anni, e dunque riguarda soggetti nel pieno delle proprie attività di studio e lavorative, con un forte impatto sulla qualità della vita.

Le manifestazioni cutanee variano molto da persona a persona per intensità e tipologia ma spesso possono riguardare parti del corpo come gomiti, ginocchia, zona lombare, genitali, cuoio capelluto e mani. Tutti effetti di una risposta immunologica esagerata: le cellule dette linfociti hanno infatti un turn over, un ricambio, più frequente rispetto al normale, creando una vera e propria desquamazione. Si formano quindi in un breve intervallo di tempo molteplici strati di pelle che vengono poi persi. Si va ovviamente dalle forme più lievi, alle moderate, fino a quelle più gravi».

Quando parla di forme gravi a cosa si riferisce in particolare?

«Di casi di artrite psoriasica per esempio. Una forma molto invalidante e che per fortuna rappresenta una minoranza. Dalla manifestazione cutanea si passa all’infiammazione delle articolazioni con dolori e gonfiori che colpiscono soprattutto mani e colonna vertebrale. Anche in questo caso i giovani sono i più coinvolti, in particolare nella categoria dai 30 anni in poi».

Cosa causa tutto questo?

«Le cause possono essere svariate: in primis c’è un fattore di predisposizione genetica, e questo vale soprattutto per gli adolescenti, spesso con genitori o parenti stretti psoriasici. Al fattore genetico si aggiunge una risposta immunologica alterata, stress, particolari condizioni depressive, cattiva alimentazione. Obesità, diabete e disturbi cardio vascolari sono poi alcune delle patologie che aiutano lo sviluppo della patologia».

Si tratta di una malattia “visibile” e complessa da gestire, come si traduce tutto questo sul piano psicologico?

«Il bagaglio emotivo che il paziente psoriasico porta con sé è ingombrante e spesso causa stessa del peggioramento della patologia. Un circolo vizioso che nasconde una forte difficoltà ad accettare in primis una pelle che non è come quella di tutte le altre persone. E poi ovviamente un malessere fisico con cui bisogna convivere, nell’alternanza continua di periodi acuti e periodi di minore sintomaticità. Da qui un atteggiamento di forte chiusura, alimentata moltissimo dall’aspetto cronico e recidivante della malattia. Cosa vuole un paziente che va dal medico? Diagnosi accurata e poi un rimedio il più possibile definitivo. Aspetto quest’ultimo non proprio compatibile con la presenza di una malattia cronica. I pazienti psoriasici sono nella maggior parte dei casi persone scoraggiate e abbandonati a sé stesse».

Uno scoraggiamento che incide anche sulle terapie? Si smette di curarsi?

«Purtroppo sì. L’aderenza alle terapie è uno dei problemi principali dei malati psoriasici. Abbandonano la cura quando non vedono risultati immediati, passando magari da un medico ad un altro sperando in una soluzione migliore ai loro problemi di salute. Ma cronicità non vuol dire non risoluzione, ci sono eccome possibilità per migliorare e stare bene. Un approccio del genere impedisce importanti miglioramenti di cui invece gli stessi pazienti potrebbero beneficiare».

A proposito di terapie, quali passi sono stati fatti dalla medicina e come si può stare meglio?

«Molto dipende dal livello di gravità e dalla tipologia di malattia. La psoriasi guttata per esempio, che si manifesta generalmente a goccia su gran parte del corpo, è spesso accompagnata da infezioni. In questo caso basterà ad eliminare i batteri presenti, ottenendo una riduzione anche delle manifestazioni cutanee. Sulle forme classiche di psoriasi poi esistono delle linee guida terapeutiche ben precise. Per la tipologia lieve sarà utile usare terapie topiche e quindi creme, fototerapia, nonché sole e mare ogni volta che è possibile. Negli ultimi anni le soluzioni proposte sono molto migliorate: esistono topici non cortisonici, così come è stato abbandonato l’utilizzo di creme al catrame, colorate e con cattivo odore. I supporti attuali non ungono, sono inodore e incolore, aspetti da non sottovalutare soprattutto per ragazzi e ragazze.

Per le forme che lo specialista valuterà di gravità media, entrano in gioco i farmaci tradizionali come l’acitretina. Nei casi più gravi, che generalmente interessano viso, genitali e cuoio capelluto, il medico è autorizzato a passare ai farmaci di ultima generazione detti “biologici“, come per esempio le anti citochine. Si stanno avviando all’approvazione anche le cosiddette “piccole molecole”, farmaci di ultima generazione da somministrare per via orale. L’armamentario terapeutico c’è, quello che importa è che i pazienti ne ricorrano senza scoraggiarsi».

Dalle più recenti analisi fatte, risulta che 4 casi di psoriasi su 10 riguardano under 16. Un’età sicuramente delicata.

«Molto delicata. I casi di cui parliamo sono quasi tutti legati all’aspetto genetico e che partono solitamente con piccolissimi segni. Spesso non vengono considerati permettendo così alla patologia di farsi strada. Si tratta di lesioni, anche molto ridotte, nell’area dei gomiti o sulle ginocchia. Aspetti da non trascurare e da sottoporre a uno specialista. Quanto all’impatto psicologico ci sono diversi lavori scientifici che raccontano di come gli adolescenti si impegnino molto a nascondere le zone colpite per vergogna e timore di giudizio. Tutto questo li porta a chiudersi, ad evitare luoghi pubblici, piscine e palestre. È per queste ragioni che il percorso deve essere particolarmente oculato: i medici sono chiamati a spiegare bene al giovane che cos’è la patologia di cui soffrono e la terapia che si vuole proporre. Diventa importantissimo per loro acquisire fiducia nonostante i risultati non immediati della cura. Un aspetto che può riguardare anche le semplici creme che solitamente si prescrivono per i casi lievi. L’adolescente è scettico e poco incoraggiato: i tempi sono individuali, non c’è dubbio, ma una buona terapia topica per esempio può garantire un notevole miglioramento anche nel giro di 10 giorni».

Quali sono attualmente le forme di assistenza a cui un giovane psoriasico può attingere?

«Il servizio sanitario nazionale ha riconosciuto dei centri abilitati alla prescrizione dei farmaci biologici, punti di riferimento soprattutto per i casi più gravi. Lo specialista sul territorio può invece somministrare i farmaci tradizionali e tutti i topici per casi medi e lievi. Nel campo diagnostico poi ci sono molte iniziative che cercano di avvicinare i pazienti alle strutture anche dando un primo quadro della situazione. Dai consulti a distanza alle piattaforme informative. Senza contare l’importanza del medico di medicina generale: centrale per l’individuazione di quei piccoli segni d’allarme di cui parlavamo prima».

Vaccino anti Covid e psoriasi, che rapporto c’è?

«Molto buono direi. Tutti i pazienti psoriasici possono fare qualsiasi tipo di vaccino anti Covid attualmente autorizzato. I dermatologi stanno invitando i pazienti a farlo senza paura, anche per i casi più gravi in cui è prevista la terapia con farmaci biologici. Per la specificità del quadro clinico ovviamente è importante accostarsi alla somministrazione passando per il proprio medico di base. Si tratta di pazienti fragili a tutti gli effetti che devono condividere il percorso di immunizzazione ma il messaggio rimane lo stesso: non rinunciare al vaccino ma farlo in sicurezza.

Skin positivity. Una conquista che non è sempre facile per chi percepisce la patologia come una condizione di diversità. Cosa consigliare ai ragazzi e alle ragazze psoriasici?

«Di non ostinarsi a nascondere il problema, perché il disagio e l’ansia che proveranno non faranno altro che condizionare e quindi peggiorare il loro stesso stato fisico. Il supporto che possono trovare in noi specialisti non è soltanto farmacologico, ma anche di sostegno su tutti quei piccoli aspetti della quotidianità capaci di migliorare di molto lo stile di vita. Da come lavarsi, a come toccare la propria pelle a come godersi una giornata di sole. Senza contare le volte in cui il problema percepito nella loro mente è molto più piccolo a livello clinico, e quindi migliorabile».

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