Carola Rackete: «Ho sconfitto Salvini ma ho dovuto lottare anche contro Sea Watch»

La capitana: «L’ho sfidato e ho vinto, ma la mia decisione vedeva contraria l’Ong»

La capitana Carola Rackete festeggia oggi con un’intervista a Repubblica la seconda archiviazione delle accuse nei suoi confronti per l’entrata nel porto di Lampedusa con 40 migranti a bordo della Sea Watch 3. «E alla fine Salvini ha perso», dice oggi ricordando le polemiche di quei giorni: «Quando siamo salpati sapevamo che il decreto era stato approvato, ma non ci aspettavamo di finire in un conflitto con lo Stato italiano. Dopo il recupero dei naufraghi in mare, è stato chiaro che non ci sarebbe stata una soluzione politica: tutti ci stavano rifiutando il porto di sbarco. È lì che mi sono convinta che dovevo avere il coraggio di sfidare il vostro governo proprio sul campo preparato da Salvini col suo decreto». Rackete dice che le definizioni di Salvini (“Zecca tedesca”, “comunista”, “terrorista”) non l’hanno ferita: «Quel linguaggio del ministro dimostra come dal populismo si scivola facilmente verso l’autoritarismo. Il discorso pubblico è tossico contro le donne, contro i migranti, contro i giovani, contro l’ambiente. Se al timone della Sea Watch 3 ci fosse stato un maschio, Salvini non si sarebbe comportato così. E mi ha rincuorato sapere che dopo il mio arresto decine di persone hanno protestato contro il sessismo».


Ma ricorda anche altro: «I tanti conflitti interni a Sea Watch. Da una parte c’eravamo io, il capo missione Philipp e il capo medico di bordo, dall’altra il back office di Berlino. Sia quando sono entrata nelle acque territoriali italiane, sia quando ho forzato il blocco a Lampedusa, sono andata contro le raccomandazioni del back office. Non avevamo un accordo stabilito o una strategia comune. Ho preso una decisione che trovava contraria una parte della ong». Un conflitto che non traspariva: «In pubblico Sea Watch è stata dalla mia parte e mi ha aiutato ad affrontare l’indagine, ma avrei voluto consenso anche a Lampedusa. C’era una pressione incredibile su di me ed ero l’unica in grado di prendere la decisione. I conflitti interni sono stati più difficili da gestire che il conflitto con il governo italiano».


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