Giletti tra il pubblico, l’audio di Freccero, i media bellicisti: cosa è successo a «Pace proibita» di Michele Santoro

Grande successo al teatro Ghione di Roma per la kermesse dell’autore televisivo. Con un convitato di pietra: Vladimir Putin. Il racconto della serata

Se la pace è proibita, lo streaming ancora no. E allora eccolo, Michele Santoro che ritorna al Teatro Ghione di Roma e in tv per l’evento sulla guerra in Ucraina. Con polemica, come si addice al personaggio che su Facebook risponde alle critiche spiegando di aver offerto la trasmissione ai grandi network senza ricevere risposta. E all’inizio dello spettacolo ricorda di aver chiamato anche La7: «Ho usato una parola a cui di solito l’editore è parecchio sensibile: “gratis”. Ma non hanno accettato nemmeno così». Non importa, vista la risposta del pubblico: la platea è piena e tra il pubblico ci sono tanti personaggi che hanno gravitato attorno all’universo dell’autore tv che ha inventato Samarcanda. E c’è anche qualche presenza a sorpresa, come quella di Massimo Giletti, di cui Santoro era stato ospite la sera prima a Non è l’Arena. E poi ancora Nichi Vendola, Arturo Scotto e Nicola Fratojanni.


Perché «Pace proibita»

Obiettivo privilegiato di Santoro sono i media italiani “imbevuti di retorica bellicista”: la risposta all’aggressione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin si sostanzia soltanto nella chiamata alle armi guidata dagli Stati Uniti di Joe Biden. «Per i media non c’è alternativa alla guerra, che rappresentano come uno scontro tra buoni e cattivi, dove la somma degli orrori cancella il “chi, dove, come, quando e perché”. Il sangue delle vittime deve chiamare altro sangue per giustificare la necessità di una sconfitta definitiva dell’aggressore». E allora se Telesogno era la tv alternativa che doveva rompere il duopolio tv, lo spettacolo serve a spezzare la censura della parola “pace”. Che invece sembra essere molto apprezzata dagli italiani, visti i sondaggi.


Lo spettacolo inizia con l’Armicene, ovvero «l’epoca in cui le armi divengono padrone del nostro destino e prendono il potere sul genere umano», come la racconta lo street artist Sirante mentre nel teatro risuona uno dei brani della colonna sonora di Eyes Wide Shut a rendere il tutto un po’ surreale. Poi tocca ad Elio Germano, che comincia citando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani («Tutti gli esseri umano nascono liberi in dignità e diritti») e conclude ricordando che un F-35 costa quanto allestire mille posti in terapia intensiva: «Non è questione di risorse che mancano, ma di scelte che si fanno». Alle sue spalle c’è Gino Strada anche se la figlia Cecilia, la cui presenza era stata annunciata, alla fine non verrà alla kermesse perché trattenuta in ospedale.

Il generale e la guerra nucleare prossima ventura

L’evento prosegue con un’intervista audio preregistrata di Guido Ruotolo al generale Fabio Mini, che viene illustrata attraverso un’animazione quantomeno discutibile: «L’unica salvezza dalla guerra può arrivare da un passo indietro degli Stati Uniti o da una spaccatura nella Nato. Ma è improbabile». Mentre a essere probabile è «la guerra nucleare». Subito dopo tocca alla co-fondatrice de Il Manifesto Luciana Castellina, che chiede «un negoziato, un compromesso». E se la Russia non lo vuole? «Il negoziato va preparato, cercato: non si può dire ‘vogliamo impiccare Putin’… certo, se ce lo togliessimo di torno sarei felice». Il giornalista del Sole 24 Ore Gianni Dragoni racconta le conseguenze economiche della guerra: la crisi alimentare, la crescita dei prezzi, il miliardo e settecento milioni di persone che rischia di precipitare nella povertà.

Segue l’intervento di Sara Diena, scandito da un ticchettìo d’orologio che ci ricorda gli effetti della guerra sul cambiamento climatico: «Un altro mondo è possibile, perché la guerra è fossile e la pace è rinnovabile». Santoro ricorda la “strage di Odessa” del 2 maggio 2014, ovvero l’incendio della casa dei sindacati dopo gli scontri tra i militanti filo-russi e i nazionalisti ucraini. Sostiene che il tradimento dell’autonomia dei russofoni è alla base del conflitto di oggi: «I garanti erano Macron e Merkel, perché quando non sono stati rispettati non hanno fatto sentire la loro voce?». Poi manda in onda una parte del documentario di Paul Moreira del 2016 che accusa i nazionalisti ucraini per la morte di 42 persone. Sulla vicenda la tesi del ministero dell’Interno ucraino è che l’incendio sia stato provocato accidentalmente dagli stessi occupanti mentre dal tetto sparavano e lanciavano molotov verso gli assalitori sottostanti. Secondo i filorussi, invece, il rogo sarebbe stato innescato dal lancio di bottiglie molotov dall’esterno. Ma nel documentario viene presentata soltanto la prima delle due.

Freccero in the Sky with Diamonds

L’intervento di Sabina Guzzanti sembra uscito dai tempi di Raiot. Poi tocca a Carlo Freccero, che esordisce sostenendo di voler “esaminare il telegiornale” ma il suo intervento è incomprensibile: con pazienza Santoro gli chiede di allontanarsi dal computer ma lo streaming continua a saltare («Un po’ più vicino, Carlo, un po’ più vicino…»). L’ex direttore di Raidue vorrebbe farci sapere che il Tg «è monotematico» perché parla della guerra ma l’audio è incomprensibile (sarà colpa del Grande Reset?). E le sue parole sanno di psichedelia più che di analisi dei media. L’intervento del direttore di Avvenire Marco Tarquinio è il più accorato e commovente ma presenta pericolose similitudini: «La guerra è una cosa da grandi, la pace è roba da piccoli: per questo facciamo la guerra, magari per procura». Sono le stesse parole che ha pronunciato il ministro degli Esteri russo Lavrov per accusare la Nato. Ma nessuno sembra accorgersene.

Fiammetta Cucurnia, vedova di Giulietto Chiesa, racconta di quando domandò a Michail Gorbacev dell’amicizia tra i tedeschi e i russi dopo la Seconda Guerra Mondiale: «Tu hai studiato la storia dal punto di vista dei vincitori. Ma il conto della guerra l’hanno pagato loro e l’abbiamo pagato noi». Santoro se la prende con i buonisti che domani “affileranno il computer” e cita una frase attribuita (falsamente) a Mussolini: «Non importa, molti nemici molto onore». Tocca poi alla filosofa Donatella Di Cesare, a Don Fabio Corazzina e all’attore Ascanio Celestini, che racconta la storia di un piccolo paese che si autodistrugge per costruire un muro che lo metta in sicurezza dallo straniero. L’artista Moni Ovadia si presenta citando la giornalista Lara Logan, la quale sostiene che il battaglione Azov «è finanziato dagli Stati Uniti e dalla Nato» (e qualche tempo fa aveva equiparato il dottor Fauci a Joseph Mengele…). Poi mostra una foto con la bandiera nazista sulla cui autenticità ci sono forti dubbi.

Vauro e Andy Rocchelli

Fiorella Mannoia canta Il disertore di Boris Vian mentre Tomaso Montanari, magnifico rettore dell’Università di Siena, si schiera con il Papa: «I padroni della terra decidono, la povera gente muore. Gli ucraini, invasi da un despota sanguinario. I soldati russi, agli ordini di quel despota. Mentre il potere è nelle mani di chi non combatte. Eppure Trilussa ci diceva che domani “vedremo li sovrani che si scambiano la stima, amichi come prima. E riuniti tra di loro ci faranno un bel discorso sulla pace e sul lavoro per quel popolo cojone risparmiato dal cannone”». E chiude: «L’unica guerra giusta è quella che non si fa. Fermatevi!». Il suo discorso è uno dei pochi che attribuisce colpe Putin anche se distribuisce le responsabilità da entrambe le parti dell’Atlantico. Una rarità.

L’ultimo intervento è del vignettista Vauro, che racconta la storia del giornalista Andy Rocchelli, ucciso, insieme all’attivista per i diritti umani e interprete Andrei Mironov, il 24 maggio 2014, nelle vicinanze della città di Sloviansk, in Ucraina, mentre documentava le condizioni dei civili intrappolati nel conflitto del Donbass. Per la sua morte Vitaly Markiv è stato condannato in primo grado e assolto in secondo grado e in Cassazione. Le sentenze non hanno però intaccato la ricostruzione dei fatti: il convoglio di giornalisti di cui faceva parte Andy fu riconosciuto e attaccato deliberatamente dall’esercito ucraino su segnalazione della Guardia Nazionale Ucraina. Il presidente Zelensky ha ringraziato il governo italiano all’epoca della Cassazione per la sentenza e ha difeso Markiv. Che fino a qualche tempo fa era ancora nella Guardia nazionale, con il grado di sergente, nel gruppo di contatto con gli eserciti Nato.

Vladimir Putin, chi era costui?

La serata la chiude Santoro, il quale spiega che bisogna intervenire per evitare «una carneficina» perché l’esercito russo conta 120 mila unità in Ucraina. Mentre i militari di Kiev sono di più: oltre 300 mila. In verità finora le carneficine le stanno facendo i russi. E se loro fossero rimasti al di là dei confini, difficilmente gli ucraini sarebbero andati a cercarli. Ma questo rischia di essere ormai diventato soltanto un tragico dettaglio. Così come, in tutto questo tripudio di responsabilità altrui rischia di perdersi quella frase così chiara: «Noi condanniamo senza se e senza ma l’invasione dell’Ucraina. Putin dovrà risponderne al suo popolo e alla Storia». Si trova nell’introduzione alla presentazione della serata a teatro. Eppure si saluta il Ghione faticando a ricordarlo.

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