Da Vittorio Emanuele III a Fanfani, da Berlusconi a Brunetta, lo stigma politico verso i “nani”

di OPEN

Breve storia del body shaming rivolto alle figure politiche istituzionali di bassa statura. Che si sperava, erroneamente, superato

Le parole irridenti, volgari, di Marta Fascina verso Renato Brunetta, e la sua forte risposta televisiva hanno riproposto un tema che si sperava – erroneamente – superato: quello del body shaming per le figure politiche e istituzionali basse di statura. Va detto che Brunetta ne ha sentite e lette di tutti i colori in quarant’anni di vita pubblica (la più celebre, «l’energumeno tascabile di Berlusconi» definizione di Massimo D’Alema). Ma sicuramente – per un ribaltamento della nemesi – il più bersagliato dei politici di oggi su questo tema è proprio il marito (o quasi) dell’onorevole Fascina. Silvio Berlusconi è stato sferzato mille volte, senza mai peraltro accusare il colpo, almeno pubblicamente. Per lui fu Beppe Grillo a coniare il termine di «psiconano» nei suoi comizi, mentre Marco Travaglio lo ribattezzò «Al Tappone».


Ma peggio, molto peggio era andata a una delle figure principali della politica italiana nella Prima Repubblica: Amintore Fanfani. Oltre al diffuso dileggio satirico (il body shaming come colpo vietato era ancora di là da venire) gli toccò quella che resta l’unica “messa agli atti” istituzionale della sua condizione di non-alto: quella scheda durante l’elezione del presidente della repubblica del 1971, in cui Fanfani era il candidato della DC. Un grande elettore scrisse una frase destinata a restare celebre: «Nano maledetto non sarai mai eletto».


Ma il più blasonato dei bersagliati, Vittorio Emanuele III, aveva abbandonato la scena con la fine della seconda guerra mondiale: il re d’Italia che gettò nel fango l’istituzione monarchica con la firma delle leggi razziali, l’avallo della guerra fascista da maresciallo d’Italia e la fuga da Roma dopo l’8 settembre era tutt’altro che svettante. Passò la vita a fingere di non vedere i sorrisi beffardi che accompagnavano l’annuncio dell’ingresso di “sua Altezza”, ma non poté sfuggire al fuoco amico di sua cugina Elena d’Aosta che, con spirito risorgimentale, soprannominò lui e la regina sua moglie, nata in Montenegro, «Curtatone e Montanara».

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