Salvini a Pontida presenta i sei impegni della Lega: «Siete una marea». Assente Bossi

Il giorno dopo lo scontro indiretto con il premier Draghi, il leader del Carroccio prova a rinsaldare il partito e la sua comunità di elettori

Stop al caro bollette, riforma dell’autonomia, flat tax e pace fiscale, Quota 41 per le pensioni, il ripristino dei decreti Sicurezza, una giustizia giusta. Ecco i sei impegni della Lega per il prossimo governo enunciati a gran voce da Matteo Salvini al popolo della Lega, che dopo tre anni torna a riunirsi sul sacro suolo di Pontida. «Per smentire tutte le chiacchiere, le invidie, le gelosie e le parole al vento, perché rimanga scritto l’impegno a prendere per mano questo Paese. Scripta manent. Ministri e governatori sottoscrivono i 6 impegni su cui ci mettiamo la firma», ha aggiunto Salvini che non ha risparmiato bordate al (suo) governo in carica: «Il caro-bollette – ha detto – non è capriccio della Lega, ma un sacrosanto dovere del governo in carica e l’Europa, se c’è, batta un colpo». «Siete una marea, sarà difficile dire per alcuni che non esistete». Salvini parla da leader ma sa che rispetto a tre anni fa i numeri sono diversi e la situazione è nettamente cambiata. Certo, è rimasta la scritta «Padroni a casa nostra». Ma le stanze sembrano aver preso altra forma ed essere cambiate, soprattutto per Matteo Salvini. Già, perché il leader del Carroccio, quello che ha portato la Lega dal 4% al 34% alle scorse elezioni, ha perso terreno in tutta Italia.


Ad avanzare, invece, la “compagna di coalizione”, Giorgia Meloni. Anche lei nel corso di questi ultimi anni è passata, almeno secondo gli ultimi sondaggi disponibili, dal 4% ad almeno il 20% delle intenzioni di voto degli italiani. E in quelle che furono le roccaforti leghiste, come la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, ma anche il Friuli Venezia Giulia, Meloni è data ben davanti al suo “compagno di coalizione”, fino a doppiarlo, in alcuni casi. Uno slancio in avanti che Salvini ha tentato di rincorrere, soprattutto negli ultimi mesi del governo Draghi, di cui la Lega stessa ha fatto parte. E nel frattempo la Lega si è trasformata in una polveriera. Una divisione tra la Lega di governo e la Lega di Salvini. Ma anche tra la Lega dei presidenti di regione, così come quella degli esponenti regionali, provinciali e delle istituzioni locali, da Nord a Sud.


Gli slogan e la realtà

E Salvini a Pontida ha tentato di ricompattare tutti questi frammenti attorno al suo “Credo a Matteo”, lo slogan utilizzato in questa campagna elettorale, che è rimbalzato sulle t-shirt dei partecipanti. Ma chissà che quelli che un tempo furono al suo fianco “credono a Matteo”. A pochi chilometri dal raduno, il segretario dem Enrico Letta dice ai sindaci del partito che «Pontida è provincia di Ungheria». Salvini gli risponde dal palco con la consueta sufficienza: «Sull’Ungheria io rispetto le scelte democratiche di tutti, Orban qualcuno la fa giusta, qualcuna la sbaglia». Preferisce concentrarsi sui cavalli di battaglia della Lega in questa campagna elettorale; l’autonomia, la flat tax al 15%, lo stop alla legge Fornero, così come lo stop alle bollette e agli sbarchi. E ancora, sempre tra i punti principali: sì ai decreti sicurezza, sì a una giustizia giusta, sì alla pace fiscale, sì la proposta di pensionamento anticipato Quota41 e sì al nucleare.

Zaia e Giorgetti all’attacco di Meloni. Ma nessuno nomina “Matteo”

Tutti negano che “il Capitano” sia prossimo alla fase di “rottamazione”, in particolare il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, considerato da molti il possibile successore di Salvini alla guida del Carroccio. Ma anche il “duca” Fedriga sostiene che «la Lega è una e unita e deve rispondere agli impegni presi davanti al suo popolo» e, a margine, che ora più che mai Salvini deve essere sostenuto. Il governatore veneto Luca Zaia si è spinto a dire che «l’autonomia vale anche la messa in discussione di un governo», tirando così una stoccata all’alleata di coalizione Giorgia Meloni. Non è mancato anche il titolare del Mise, Giancarlo Giorgetti. E, anche lui ha tirato una frecciata alla leader di Fratelli d’Italia: «È facile stare all’opposizione e criticare, grazie a noi M5s e Partito Democratico non andranno al governo, un mestiere difficile e pieno di equilibri». Ma durante gli interventi dei tre esponenti leghisti al momento più di peso nel Carroccio è sempre mancato un nome: “Salvini”, come evidenziato anche da Simone Canettieri su Il Foglio.

Il nome di Salvini campeggia ovunque: bandiere, schermo, stendardi, podio, simbolo elettorale. Ma era assente dai discorsi dei colleghi leghisti. Insomma, tutti sembrano stare dalla parte della Lega, più che di Salvini. E a portare avanti la querelle interna contro Meloni si son fatti avanti più Giorgetti e Zaia, in questo caso, che Salvini stesso. Tra i grandi assenti, Umberto Bossi. A renderlo noto è stato il figlio Renzo, che ha pubblicato sui social una foto assieme al padre, scrivendo: «Quasi 81 e sempre con il sigaro. Un giorno per la famiglia, per gli affetti. In questi anni tanta gente cara, tante battaglie e quelle importanti sempre nel cuore».

Lo scontro indiretto tra Draghi e Salvini

Il presidente Draghi nella sua ultima conferenza stampa, senza far nomi, ha dichiarato: «La democrazia italiana è forte, non è che si fa battere dai nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati». E in particolare dalla Russia, ha sottolineato Draghi, «che negli ultimi 20 anni ha effettuato una sistematica opera di corruzione» in tutti i settori, dagli affari, alla stampa e, immancabilmente, anche nella politica. Il presidente dimissionario ha precisato che, allo stato attuale, non sussistono prove per sostenere che alcun partito politico italiano che concorrerà alle elezioni del 25 settembre abbia ricevuto finanziamenti russi. Lega inclusa, dunque. E Draghi, rispondendo ai giornalisti, ha fatto riferimento anche a «quello che ama i russi alla follia e vuol togliere le sanzioni, e parla tutti i giorni di nascosto con i russi. E va bene c’è pure lui, ma la maggioranza degli italiani non lo fa».

E Salvini, pur non essendo stato menzionato, si è sentito chiamato in causa. Inizialmente ha detto di non essere lui la persona a cui faceva riferimento il presidente Draghi, salvo poi rispondere ancora: «Non ho sentito la conferenza stampa del premier, mica c’è scritto nella Costituzione che devo farlo. Oltre che parlare di pupazzi, spero che Draghi trovi il tempo per trovare altri soldi per aiutare gli italiani a pagare le bollette, perché non so se ha capito l’emergenza nazionale a cui stiamo andando incontro». Da Palazzo Chigi non è arrivato nessun commento, né arriverà.

Video: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev

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