Il decreto anti-rave, le intercettazioni possibili e chi rischia 6 anni di carcere: «Facciamo i processi nei Palasport?»

Il nuovo articolo 434-bis del Codice Penale consente l’estensione del reato ai raduni di qualsiasi tipo. E secondo i costituzionalisti lede la libertà di manifestare

Le nuove norme del decreto anti-rave rendono possibili le intercettazioni. Anche se la presidente del Consiglio Giorgia Meloni le aveva escluse. E il nuovo reato si potrà contestare anche a chi si limita a partecipare ai raduni. Non solo. La norma inserita nel Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162 già pubblicato in Gazzetta Ufficiale consente attraverso il nuovo articolo 434-bis del Codice Penale l’estensione ai raduni di qualsiasi tipo. Come l’occupazione di un liceo o un picchetto di operai in una fabbrica. Con procedibilità d’ufficio: quindi non serve la querela. Anche se l’invasione arbitraria di terreni ricade già nell’articolo 633 C.P. Infine: un eventuale processo avrebbe un effetto dirompente anche sul sistema giudiziario. Perché nell’ultimo caso di Modena i partecipanti erano oltre duemila. Essendo tutti processabili, per celebrare il rito potrebbe essere necessario un palasport o uno stadio.


Il nuovo articolo 434-bis

A spiegare ieri che le intercettazioni sono possibili è stato il presidente delle Camere Penali Gian Domenico Caiazzo. E per un motivo molto semplice: prevede una pena di sei anni. E l’ascolto delle comunicazioni è possibile per tutti i reati che prevedono una pena superiore ai cinque. Un’interpretazione fatta propria anche da Vittorio Manes, ordinario di diritto penale all’Università di Bologna, in un’intervista rilasciata oggi a QN: «Gli organizzatori di un rave non hanno mica il biglietto da visita. Così la caccia agli organizzatori potrebbe tradursi nell’ascolto anche di semplici partecipanti. Perché in caso di indagine chi promuove l’evento, chi lo supporta o chi partecipa – ammesso che sia così certo definire i singoli ruoli – lo si capisce solo alla fine, mica all’inizio». Manes spiega che il nuovo art. 434-bis «consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, “quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica“. È una previsione estremamente generica e quindi scivolosa. Perché a nessuno sfugge che, sulla base di un presupposto di pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica, ogni adunanza di più di 50 persone su terreni o edifici altrui pubblici e privati potrebbe ricadere nel reato previsto dal decreto. Anche riunioni non autorizzate a carattere politico, educativo o sportivo, tanto per fare degli esempi».


La libertà di manifestare e la Costituzione

Anche l’ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick attacca la norma Meloni-Piantedosi. «A quanto ricordo – dice l’ex Guardasigilli oggi a Repubblica – la Costituzione parla di limitazioni “soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” mentre non fa cenno a pericoli per l’ordine o per la salute pubblica. Andrebbe subito verificata la costituzionalità di questa estensione dei limiti». Flick critica infine l’approccio verso i giovani: «Mi sembra pericolosa l’idea di combattere il loro disagio con strumenti di carattere penale e con sanzioni che appaiono molto pesanti e con un nuovo reato, quando sono più che sufficienti quelli che già esistono». Gli stessi argomenti li solleva Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza: «C’è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori. A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato. Senza neppure poter escludere quelli di politici o sindacalisti che organizzano raduni ritenuti pericolosi». Il professor Manes invece punta il dito su un altro punto dirimente: «Scatta un raduno, arriva la polizia, identifica organizzatori e partecipanti e li denuncia all’autorità giudiziaria. A quel punto la legge deve fare il suo corso. In quale palasport o stadio facciamo il processo?».

L’intervista di Piantedosi

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi prova a rispondere alle obiezioni in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Nella quale Nella quale premette che «l’obiettivo di queste norme approvate dal Consiglio dei ministri è allinearci alla legislazione degli altri Paesi europei anche ai fini di dissuadere l’organizzazione di tali eventi che mettono in pericolo soprattutto gli stessi partecipanti — ricordo che a Modena si ballava in un capannone pericolante e si rischiava una strage — e finiscono per tenere in scacco intere zone, pregiudicando attività commerciali e viabilità. Dobbiamo garantire, in primo luogo, che i giovani possano divertirsi senza esporsi a pericoli per la loro incolumità e poi tutelare gli imprenditori che subiscono la concorrenza di chi agisce in spregio a qualsiasi regola». Il responsabile del Viminale trova invece offensivo «attribuirci la volontà di intervenire in altri contesti, in cui si esercitano diritti costituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento. In ogni caso la conversione dei decreti si fa in Parlamento, non sui social. In quella sede ogni proposta sarà esaminata dal governo». Infine, risponde sul perché la polizia non sia intervenuta a Predappio: «Si tratta di una manifestazione, una pagliacciata, che deploro nella maniera più assoluta. Si svolge da anni, senza incidenti e sotto il controllo delle forze di polizia. È accaduto con analoghe modalità e numeri anche in anni in cui al governo vi erano personalità politiche che ora esprimono indignazione. Posso assicurare che le forze di polizia segnaleranno all’autorità giudiziaria tutti gli eventuali comportamenti in violazione delle disposizioni vigenti».

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