Naufragio al largo della Libia, Sea Watch accusa l’Italia: «A Roma sapevano benissimo cosa stava accadendo»

Secondo l’ong, le autorità del nostro Paese avrebbero potuto salvare i 30 migranti annegati il 12 marzo, ma non l’hanno fatto

Un’accusa diretta, corredata da video e audio a supporto di una ricostruzione che non lascerebbe spazio a equivoci: nel naufragio avvenuto lo scorso 12 marzo al largo delle coste libiche, le 30 persone che hanno perso la vita potevano essere salvate. A dirlo è Sea Watch Italia. L’organizzazione, dopo aver pubblicato le immagini girate dal suo velivolo di ricognizione Seabird e le registrazioni delle chiamate con i Centri di coordinamento dei soccorsi libico e italiano, ha voluto chiarire due aspetti della vicenda all’Adnkronos. Il primo: «Quando si parla di zona Sar libica non ci si riferisce alle acque territoriali libiche ma a un’area di responsabilità libica. Dal momento che la cosiddetta Guardia costiera libica non era in grado di soccorrere il barchino, secondo la Convenzione di Amburgo, gli italiani o i maltesi potevano andare e salvare la vita delle persone a bordo». Il secondo: «A Roma sapevano benissimo cosa stesse succedendo». Insomma, il ritardo nei soccorsi, ha affermato Sea Watch, ha fatto sì che delle 47 persone a bordo della barca salpata dalla Libia si salvassero solo in 17. Poi, sempre all’agenzia stampa, l’ong ricapitola per punti quanto avvenuto in quelle ore:


  • Sabato 11 marzo, ore 01.28Alarm Phone informa le autorità sulla situazione della barca in pericolo. Seabird avvista l’imbarcazione e lancia la chiamata d’emergenza. Poco dopo il mercantile Basils risponde e si dirige verso la scena.
  • Ore 10.31 – Seabird richiama via radio il mercantile Basils che risponde di essere stato istruito da MRCC Rome nel seguire le istruzioni della cosiddetta Guardia costiera libica. Quest’ultima ha ordinato di raggiungere il caso e poi richiamarli.
  • Ore 11.10 – L’equipaggio di terra di Sea Watch chiama quindi il Joint Rescue Coordination Center di Tripoli che risponde di essere a conoscenza del caso e di aver contattato Benghazi, che però non ha motovedette e non può soccorrere.
  • Ore 16.06 – L’equipaggio di terra di Sea Watch chiama il centro di coordinamento italiano per comunicare che il centro Libico non è in grado di inviare una motovedetta per soccorrere. Quando viene chiesto chi può coordinare i soccorsi, visto che la Libia non è in grado, l’ufficiale in Italia riaggancia il telefono.
  • Domenica 12 marzo – Dopo una notte in balia delle onde il barchino viene soccorso da un mercantile. Le onde sono troppo alte e la barca si ribalta. Solo 17 persone vengono tratte in salvo. Le altre 30 sono annegate.

Leggi anche: