Luca Barbareschi e le molestie alle attrici: «Le denunce servono a farsi pubblicità. Alcune si presentano a gambe larghe»

L’attore e regista parla dell’iniziativa dell’Associazione Amleta: «Mi viene da ridere, alcune andrebbero denunciate»

Negli scorsi mesi l’Associazione Amleta ha raccolto sotto l’hashtag #apriamolestanzediBarbablù una serie di denunce di molestie ad attrici da parte di attori, registi e produttori. A parlarne, tra le altre, Pamela Villoresi, Chiara Claudi, Beatrice Fazi. E ancora: Roberta Lena, Antonella Marino, Jasmine Trinca. Oggi l’attore e regista Luca Barbareschi dice in un’intervista a Repubblica che le denunce di molestie «servono solo a farsi pubblicità». E che semmai è vero il contrario: «Non ho mai avuto bisogno di trucchi per scopare. Ma mi è capitato di dire “Amore, chiudi le gambe, interessante ma ora parliamo di lavoro”». Barbareschi parla con Arianna Finos mentre sta girando la scena finale di The Penitent. Ispirato alla figura dello psicologo canadese Jordan Peterson.


L’attore e l’omosessualità

Secondo Barbareschi Peterson era «un genio attaccato ferocemente perché si rifiuta di dire che c’è un terzo sesso. Trovo che abbia ragione: è un medico e non può prescindere dal fatto che i cromosomi siano quelli. Nel nostro film lo psichiatra viene linciato perché un giovane paziente gli annuncia una strage e poi uccide otto persone. L’assassino è ispanico, vittima della società, è gay, emarginato, quindi forse non è più colpevole. La stampa si sposta sullo psicologo, complice una pubblicazione in cui aveva scritto che l’omosessualità è un adattamento. Per me ci sta: io sono stato omosessuale nella mia vita, forse ho trovato un adattamento alle mie problematiche». L’attore sostiene che «i miei figli cresciuti nelle università americane non hanno più senso dell’umorismo. Se dico: “Guarda che mignottone”, rispondono “No, papà, è una ragazza che soffre”».


Le molestie

Da qui si arriva al punto delle molestie. Barbareschi dice che alcune delle attrici che hanno denunciato ad Amleta lui le ha avute a teatro (una di queste è proprio Chiara Claudi). E dice che gli viene «da ridere. Perché alcune di queste non sono state molestate, o sono state approcciate in maniera blanda. Altre andrebbero denunciate per quando si son presentate sedendo a gambe larghe: “Ciao che film è questo?”. Non ho mai avuto bisogno di fare trucchi per scopare, ho detto: “Amore chiudi le gambe, interessante, ma ora parliamo di lavoro”. Succede anche questo. E secondo me Amleta dovrebbe riguardare un campo più largo. Il problema delle molestie è generale, riguarda la commessa del negozio che deve subire per non perdere il posto. Deve cambiare. Ho quattro figli e voglio che siano liberi e non subiscano mai. Sono stato un bambino molestato, da otto a undici anni. I preti gesuiti, a Milano, mi chiudevano in una stanza, uno mi teneva fermo e l’altro mi violentava».

La moda delle denunce

Infine, Barbareschi dice di aver letto «le puntate su di loro, ho trovato che un giusto pensiero diventa qualcosa di modaiolo. L’attrice che si fa pubblicità, la cosa va avanti per dieci puntate poi finisce, ma non si risolve il problema. Detto questo il film è per me importante perché racconta lo stato dell’arte oggi. Non ci può essere giudizio morale sull’arte. L’ho dichiarato quando ho fatto J’accuse, e ora con il nuovo film di Polanski, The palace. Sennò dobbiamo ascoltare quello che ha detto madame Schiappa, ministro francese per le Pari opportunità. Io e Polanski siamo stati assaltati dalle femministe, ci siamo guardati: “Tua nonna è morta ad Auschwitz, mia nonna a Treblinka, se ci avessero detto che nel 2020 saremmo finiti chiusi in una camionetta con fuori donne coperte di sangue che gridano “riaprite le camere a gas” non ci avremmo creduto”».

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