Attiviste contro la giudice di «palpata breve» e «vittima complessata»: «Intervenga Nordio». Ma lei si difende

«Ma tutto questo stupore da dove deriva? Non ho mai “esondato” dalla mia sfera di competenza…», ha detto Maria Bonaventura, giudice anche del processo per il presunto stupro di Primavalle a Capodanno 2021

La studentessa palpata a scuola dal bidello; la dipendente del museo molestata dal direttore; la ragazzina che ha denunciato le violenze nella notte di Capodanno 2021. Tratti in comune: gli assalti subiti da maschi incapaci di contegno. Ma anche l’esito delle loro battaglie per ottenere giustizia: nessuna delle tre donne è stata creduta. Dal medesimo collegio chiamato a esprimersi sui rispettivi casi: la quinta sezione collegiale del tribunale di Roma, presieduta da Maria Bonaventura. In tutti e tre i casi, ora è la magistrata ad essere finita sul banco degli imputati – per lo meno dal punto di vista delle associazioni che si battono per proteggere le donne vittime di violenza – con l’accusa di sminuire regolarmente la gravità dei fatti e far passare più o meno esplicitamente le autrici delle denunce da vittime a colpevoli. Ad andare all’attacco questa mattina, intervistata da Repubblica, è Bo Guerreschi, presidente della onlus «Bon’t Worry» che si occupa di violenze di genere. Siamo di fronte a sentenze scritte da giudici donne «in cui le donne non vengono credute e ridotte quasi a imputate», denuncia Guerreschi: «Siamo oltre il diritto, si sta riducendo a coriandoli il Codice Rosso. Poi non lamentiamoci quando le denunce diminuiscono». Guerreschi ha letto e riletto con sgomento crescente le sentenze di assoluzione prodotte dal collegio guidato da Bonaventura, prima per il bidello dell’istituto Cine Tv di Roma Roberto Rossellini (la palpata ai glutei della ragazzina sarebbe stata giocosa, come prova fra l’altro la durata inferiore ai 10 secondi del gesto), poi per il direttore del museo sempre della capitale accusato di molestie su una dipendente (era lei ad essere «mossa dai complessi di natura psicologica sul proprio aspetto fisico (segnatamente il peso)». E ora chiede che la giudice sia sanzionata: «Chiedo l’intervento del ministro della Giustizia Carlo Nordio», dice ancora a Repubblica. «Spero che a breve invii gli ispettori, questi verdetti lasciano senza parole e mi fanno pensare che lottiamo per qualcosa che la giustizia ci nega».


L’autodifesa della giudice

Chiamata in causa, anche da una serie di articoli di stampa estremamente critici sulle sue sentenze – perfino sul New York Times – la giudice però respinge al mittente le accuse. «Ma tutto questo stupore da dove deriva? Non ho mai “esondato” dalla mia sfera di competenza…», si difende parlando a una cronista del Corriere tra i corridoi del palazzo di Giustizia. «Il mio ruolo mi conferisce autonomia e indipendenza ed è in ragione di questi princìpi che ho scritto la mia sentenza», puntualizza. Bonaventura non ritiene insomma ci sia alcunché da spiegare, tanto meno errori da riconoscere, né in fatto di diritto, né in merito al linguaggio utilizzato sulle donne che hanno denunciato: «A mio avviso i giudici devono esprimersi attraverso le proprie sentenze. Ho comunque in serbo una denuncia al Csm al quale inoltrerò una mia relazione dettagliata», fa sapere al Corriere. Quanto al fatto che in entrambi i casi saliti agli onori delle cronache i pm si abbiano già depositato ricorso o si accingano a farlo contro le sentenze del suo collegio, mostra serafico fair play: «La legge prevede la possibilità di appello. A questo punto sarà  la Corte d’appello a esprimere il proprio parere a garanzia di tutti».  


Il precedente del presunto stupro di Capodanno

A motivare l’ira della fondatrice dell’associazione Bon’t Worry c’è anche il fatto che Bonaventura è la giudice anche del processo istruito dopo la denuncia di una giovane romana di violenze sessuali subite da più ragazzi a una festa in casa a Primavalle la notte di Capodanno 2021, in pieno lockdown. Anche in questo terzo caso, fa notare Bo Guerreschi, i segnali che giungono dalla conduzione del processo appaiono allarmanti. Lo scorso 22 maggio è stata ascoltata per la prima volta in aula la presunta vittima, che aveva richiesto che l’interrogatorio potesse avvenire in un’aula protetta, «senza lo stress di stare davanti ai giudici e agli imputati», ricorda Guerreschi. Richiesta inizialmente accordata dal tribunale. Ma il giorno dell’interrogatorio, la difesa dell’unico imputato, Patrizio Ranieri, ha prodotto un’intervista rilasciata pochi giorni prima dalla giovane a Repubblica, chiedendo di sentirla dunque in aula. «È inaccettabile, va bene», avrebbe reagito Bonaventura, accogliendo la richiesta della difesa, ritenendo che a quello punto non ci fossero più esigenze di protezione. «Bianca (il nome è di fantasia) ha subito cinque ore di interrogatorio incrociando il suo violentatore, ha avuto diritto a una sola pausa per un bicchiere d’acqua. La presidente le ha anche vietato di parlare con il nostro difensore. Un trattamento assurdo», denuncia Guerreschi a Repubblica. «Finirà che sarà giudicata come una poco di buono», chiosa l’attivista sconsolata. Che annuncia però battaglia contro le pronunce del collegio, perché il rischi che queste vadano a costituire dei precedenti è alto, e inaccettabile: «C’è superficialità e mancanza di rispetto per la donna, il suo corpo, la sua volontà. Da questa sezione escono sentenze solo di questo tenore». «È il momento di fare fronte comune – annuncia allora Guerreschi – A fine settembre organizzeremo un summit in cui chiedo a tutte le associazioni di partecipare ma anche a magistrati e forze dell’ordine. Il Codice Rosso va riformulato da chi vive tutti i giorni nei tribunali e conosce difficoltà e vicende da vicino. E può proporre soluzioni concrete e attuabili».

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