L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump rischia 55 anni di carcere. Ma l’incriminazione per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, così come le altre due e le eventuali condanne, non lo escludono dalla possibilità di correre per la Casa Bianca. Per il tycoon l’incriminazione sul caso del 6 gennaio è la terza in quattro mesi, per un totale di 78 capi di accusa. E fra le accuse mosse nei suoi confronti del procuratore speciale Jack Smith c’è anche quella di aver «cospirato contro il diritto di voto» in base a una legge penale usata per punire il Ku Klux Klan. Smith fa riferimento alla sezione 241 del Titolo 18 della legge americana che rende reato «cospirare per minacciare o intimidire chi esercita» un diritto protetto della Costituzione o dalla legge federale.
Le 45 pagine di accuse
Intanto in un messaggio video Trump conferma la corsa per la Casa Bianca: «Mi attaccano da sinistra e da destra, i marxisti, i comunisti e i fascisti, ma noi non solo sopravvivremo, saremo più forti che mai». E ancora: «Abbiamo vinto nel 2016, abbiamo avuto un’elezione truccata nel 2020 e vinceremo nel 2024. Renderemo l’America ancora grande. Non ho dubbi su questo». Il New York Times ha pubblicato le accuse del procuratore, che occupano un totale di 45 pagine. L’ex presidente è accusato di:
- aver cospirato per cercare di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020;
- di aver ostacolato la procedura di certificazione del voto e di aver cospirato per farlo;
- di aver violato i diritti civili dei cittadini statunitensi per invertire i risultati elettorali negli stati.
Il procuratore Smith ha ricostruito l’accusa: «Nonostante avesse perso», Trump «era determinato a restare al potere. E così per più di due mesi dopo le elezioni del 3 novembre 2020 ha diffuso bugie» sul fatto che il risultato del voto era frutto di frode e che lui aveva vinto. Affermazioni false, che sapeva essere false ma che ha ripetuto e disseminato per farle apparire «legittime e creare un’atmosfera di sfiducia e rabbia».
La cospirazione per sovvertire il voto
Secondo l’accusa l’ex presidente «aveva il diritto, come ogni americano, di parlare pubblicamente delle elezioni e anche falsamente affermare che erano state determinate da frodi. Era anche autorizzato a chiedere verifiche sui risultati tramite modalità legali e appropriate», si legge nella seconda pagina dell’incriminazione. Ma «i suoi sforzi di cambiare il risultato del voto in ogni Stato tramite il riconteggio non hanno avuto successo». C’è anche uno spazio dedicato a Mike Pence. L’ex presidente ha cercato di convincere il suo vicepresidente «a usare il suo ruolo cerimoniale per la certificazione del voto, per alterare il risultato delle elezione». E quando questi tentativi sono falliti, ha cercato di «usare la folla dei suoi sostenitori radunata a Washington per fare pressione sul vicepresidente affinché alterasse in modo fraudolento i risultati elettorali».
In tribunale durante la campagna elettorale
Trump è quindi accusato di aver usato la violenza e il caos dell’assalto a Capitol Hill. «Ha rifiutato ripetutamente di approvare un messaggio diretto ai rivoltosi» per chiedere loro di lasciare il Congresso americano. Invece di procedere come chiedevano i suoi collaboratori, il tycoon ha «postato due tweet in cui non chiedeva ai rivoltosi di lasciare Capitol Hill ma suggeriva falsamente che la folla era pacifica». L’Afp pronostica che Trump possa essere costretto a comparire in tribunale nel bel mezzo della campagna elettorale. Il documento cita anche altre sei persone anch’esse imputate, senza rivelarne i nomi. Una prima udienza preliminare è stata fissata per il 3 agosto in un tribunale federale della capitale. Lui sulla sua piattaforma Truth Social ha detto di aspettarsi il rinvio a giudizio, definendo il procuratore come un pazzo.
Il video
«Perché non l’hanno fatto due anni e mezzo fa? Come mai hanno aspettato così tanto? Perché volevano che accadesse proprio durante la mia campagna», ha detto Trump. Che conserva comunque la lealtà di buona parte del suo partito. Dominando i sondaggi per la nomination repubblicana e allargando anche il gap con il numero 2, il governatore della Florida Ron DeSantis. «Chi si pone al di sopra della Costituzione non dovrebbe mai essere presidente degli Stati Uniti», ha detto martedì primo agosto il suo ex vicepresidente, anche lui in corsa per la nomination.
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