Il viceministro Bignami: «Io, aggredito a Bologna 18 volte. Mi misero il cartello “Fascista” al collo»

Il responsabile delle Infrastrutture del governo Meloni: mio padre subì un attentato, mai presi gli autori

Il viceministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami racconta che è stato aggredito 18 volte a Bologna durante le scuole. E aggiunge che mentre frequentava il liceo «i comunisti» gli hanno appeso il cartello “fascista” al collo. Trascinandolo in giro per la scuola. In un’intervista a Libero il rappresentante di Fratelli d’Italia sostiene anche di non essere stato chiamato Galeazzo in onore di Ciano ma per omaggiare Galeazzo Maria Visconti, il primo a parlare di unità d’Italia nel 1400. Il colloquio con Pietro Senaldi comincia dal primo giorno di scuola al Righi: «I ragazzi grandi fecero irruzione in classe: chi è Bignami? Siamo quelli della Figc. Io ero ingenuo, pensavo fossero quelli della Federazione Gioco Calcio, e alzai la mano speranzoso. Invece erano i giovani comunisti. Tempo un attimo mi ritrovai a quattro zampe, con un cartello al collo con la scritta “fascista” e un guinzaglio che mi tirava in giro per i corridoi della scuola. Questo è stato il mio esordio politico».


Il piccolo Galeazzo e la scuola di sinistra

Bignami dice che se la presero all’epoca solo con lui solo perché il padre era di destra ed era molto conosciuto in città. E che chiese al genitore di cambiare scuola: «Ma lui rispose che se cedevo allora avrei ceduto sempre e mi tenne lì». Dice di essere «grato a quei ragazzi. Ho capito sul campo che roba era la sinistra. Ed è ancora la stessa roba». E ancora: «Bologna era così, e lo è ancora oggi. Non ci crede? E se le dicessi che un centro sociale, Labas, in locali assegnati loro dal Comune, ha festeggiato la morte di Berlusconi? La Schlein non ha neanche condannato l’ultima aggressione ai nostri giovani. Ed io ho subito diciotto aggressioni in città…». Per questo entrò nel Fronte della Gioventù: «Quelle violenze mi ci spinsero quasi, andai in un ambiente che mi offriva protezione, dove noi diversi potevamo farci forza l’uno con l’altro, gente con cui parlare. Una scelta di autodifesa».


La carriera politica

Bignami è diventato consigliere comunale di An a Bologna a 23 anni, quando Guazzaloca vinse il municipio. E quest’anno «non vado in vacanza, resto a Bologna», spiega Bignami. «Devo presidiare il territorio dalle falsità che il Pd sparge, sennò qui parte una contro-narrazione… Loro sono specializzati, una macchina di bugie rodata nei decenni. Sostengono che non siano arrivati aiuti dal governo dopo il disastro, invece non riescono a spendere quello che è già stato stanziato, come ha scritto la premier nella sua lettera a Bonaccini, precisando che il governo ha messo 4,5 miliardi perla ricostruzione e il risarcimento dei danni». Sulla strage di Bologna e le parole di De Angelis però dice che «c’è una sentenza e la si rispetta, ma se il Presidente della Repubblica dice che va appurata tutta la verità, significa che mancano ancora dei tasselli. Giorgia Meloni ha fatto bene a chiedere la desecretazione dei dossier».

L’attentato al padre

L’ultimo aneddoto è ancora più pesante: «Per colpa dell’ideologia ho rischiato di non venire al mondo. Io sono del 1975. Nel 1974 un gruppo di estremisti di sinistra esplose sette colpi contro mio padre, di cui 5 a segno. Lo salvò un automobilista di passaggio». Gli autori dell’attentato «non furono mai presi. In compenso mio padre si fece tre mesi di galera per tentativo di ricostituzione del partito fascista. La tesi del giudice era: se ti sparano in strada quelli di sinistra, che noi non prendiamo, significa che tu sei un fascista e quindi un criminale. Alcuni della Cgil organizzarono un picchetto davanti all’ospedale per impedire che venisse curato».

Leggi anche: