Roberto Saviano e il decreto: «Lo Stato a Caivano non conta nulla. Il mio processo? Sono tutti un po’ Giambruno»

Lo scrittore: i pavidi diranno che me lo sono andato a cercare

«Dire “lo Stato c’è”, dove invece è assente, deresponsabilizza tutti. Se lo Stato c’è, perché dovrei esserci anch’io?». Roberto Saviano parla così di Caivano, del blitz delle forze dell’ordine e del decreto appena approvato dal governo Meloni. In un’intervista a La Stampa lo scrittore e giornalista va all’attacco: «Ieri notte una stesa, ma dirò di più: Giovanbattista Cutolo è stato assassinato il giorno in cui Meloni era attesa a Caivano per una visita annunciata. Ovviamente è una tristissima coincidenza. Però ci dice tanto su come questo governo, ma in generale la politica e le istituzioni, vengono valutate dal mondo criminale». Mentre sul suo processo per diffamazione dice di sentirsi più ostaggio che imputato: «I pavidi diranno che me la sono andata a cercare. Sono tutti un po’ Giambruno».


Propaganda e sovranismo

Per Saviano, che parla con Federico Monga, «tutto ciò che il populismo sovranista tocca diventa pura propaganda. È stato così per tutto, per lo stato dell’economia italiana, per l’immigrazione». Mentre il decreto Caivano «non serve a nulla. E magari – ribadisco: magari! – fossero solo parole. Intanto sono parole drammatiche, insensate e che con il sistema giudiziario e carcerario italiano (sovraccarico il primo, letteralmente al collasso il secondo) non hanno alcuna speranza di essere attuate. Il carcere oggi è una palestra di crimine nel nostro Paese. E la repressione ha senso solo quando ogni deterrente ha fallito. Ma se qui in Italia non si fa prevenzione, come si può pretendere di punire?».


Le scuole chiuse

E accusa le scuole chiuse per Covid-19: «Molti adolescenti, ma anche tante bambine e bambini delle elementari, che da ottobre 2020 ad aprile 2021 non sono andati a scuola per le misure straordinarie prese dalla Regione Campania, letteralmente abbandonati a se stessi, a scuola non sono più tornati. I genitori spesso vivono veri e propri drammi e sono soli». Saviano dice che secondo gli studi ai ragazzi il cellulare andrebbe dato quando compiono 14 anni. Però «il problema non è togliere il cellulare, ma darlo a un’età congrua e pretendere che la scuola si faccia carico di un insegnamento al suo corretto utilizzo. Ma siamo in ritardo di 40 anni sull’introduzione dell’educazione sessuale a scuola. Ma mi sa che pensare a corsi strutturali, obbligatori e non demandati alla sensibilità dei dirigenti scolastici, per un corretto uso dei cellulari sia fantascienza».

Il processo e la condanna

Riguardo il suo processo, dice di sentirsi già condannato: «C’è un clima bruttissimo e, francamente, non so cosa aspettarmi. Mi metto nei panni di chi dovrà decidere se è possibile criticare e in che modo la premier, e non posso non cogliere la pressione di un atto di forza da parte dell’esecutivo. A oggi questa vicenda ha portato alla cancellazione di una trasmissione in Rai che era già stata collocata e presentata in palinsesto dallo stesso Roberto Sergio».

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