A ciascuno il suo (rifugiato). Ecco perché non è l’Italia il Paese europeo più esposto alla pressione migratoria – L’inchiesta

Mai tanti arrivi come quest’anno a Lampedusa, certo. Ma dalla Francia alla Germania, dalla Polonia alla Repubblica Ceca, gli altri grandi Paesi Ue hanno problemi almeno altrettanto seri. Viaggio nei dati

«Così non si può andare avanti». «Siamo di fronte a una pressione epocale». «Bisogna sigillare i confini», oppure «è ora di accogliere tutti i disperati che bussano alle nostre porte». I leader politici e giornali di quale Paese Ue hanno scandito con tono grave queste frasi nel corso dell’ultimo mese? Inutile spremersi le meningi, la risposta è fin troppo facile: quelli di mezza Europa. Già, perché se l’Italia deve indiscutibilmente far fronte in queste settimane a un afflusso ingente di migranti (illegali, se non altro per assenza di alternative), quasi tutti i nostri “partner” devono vedersela con situazioni di confine e interne almeno altrettanto delicate. Che specie in clima pre-elettorale (in cui si trovano in questi giorni quattro grandi Paesi Ue – Germania, Polonia, Slovacchia e Paesi Bassi) diventano bucce potenzialmente scivolosissime per chi sta al governo, e terreno di caccia promettente per demagoghi d’ogni specie. A farne le spese, quasi sempre, sono i migranti stessi. Ma proclami altisonanti a parte, quale o quali Paesi europei devono davvero fare i conti con la pressione migratoria più consistente? E quali sono i gruppi nazionali che premono più fortemente per trovare accoglienza in Europa in questo 2023? La risposta prima, la spiegazione poi. Alla domanda numero 1: non è l’Italia, al netto dell’impennata di sbarchi di quest’estate, a dover gestire il quadro migratorio più “pesante”, né in termini assoluti né in proporzione alla popolazione. Alla domanda numero 2: non è alcuno dei Paesi africani (nord- o centro- che siano) cui siamo per riflesso automatico abituati a pensare lo Stato da cui proviene il numero più ingente di migranti/richiedenti asilo. Il mosaico europeo è ben più vario e frastagliato di quel che siamo soliti pensare, e per capire gli scontri al calor bianco degli ultimi giorni – ma anche le possibili alleanze in divenire – tra Paesi Ue, conoscerne le tessere fondamentali torna quanto mai utile.


Chi viene e chi va

127.207. È il numero di disperati in cerca di fortuna sbarcati sulle coste italiane dall’inizio del 2023 al 15 settembre. Cifre che, come ormai arcinoto, indicano un raddoppio quasi esatto degli arrivi rispetto a un anno fa, per lo scorno della destra nel frattempo giunta al governo («i risultati sin qui ottenuti non sono quelli sperati», ha riconosciuto pochi giorni fa Giorgia Meloni). La punta dell’iceberg, d’altra parte, di un fenomeno che col colore politico della compagine al potere a Roma ha ben poco ha che fare, come ha ricordato anche Frontex nel suo ultimo bollettino di pochi giorni fa: «La rotta verso l’Ue del Mediterraneo centrale resta la più attiva quest’anno, con numeri mai visti dal 2016, e la pressione su questa rotta potrebbe persistere nei prossimi mesi, con i trafficanti disposti a offrire tariffe più convenienti ai migranti in partenza da Libia e Tunisia e un’agguerrita competizione tra i gruppi criminali», ha scritto l’Agenzia per il controllo delle frontiere Ue nel suo aggiornamento del 14 settembre.


Ciò non significa però che le altre rotte della disperazione verso l’Ue che abbiamo imparato a conoscere non siano più battute. Nei primi otto mesi dell’anno, benché in calo, gli ingressi illegali registrati tramite la rotta balcanica sono stati oltre 70mila. Quelli attraverso la rotta del Mediterraneo orientale (tra Turchia e Grecia) poco più di 24mila. E se quando ragioniamo di clandestini (loro malgrado) pensiamo in primis all’Africa sbagliamo di grosso: la prima nazionalità di migranti che tentano di aprirsi una strada che non c’è verso l’Europa resta, a distanza di anni dallo scoppio della guerra civile, quella siriana. Con oltre 43mila persone nella prima metà abbondante dell’anno, quello di Bashar al-Assad è di gran lunga il Paese da cui proviene il maggior numero di irregolari, ben prima della Guinea e della Costa d’Avorio (poco più di 15mila e 14mila rispettivamente secondo i dati più aggiornati del nostro ministero degli Interni). Dietro la Tunisia, a ricordarci le conseguenze – su altre rotte – di un’altra grande crisi globale dimenticata, si piazza con poco meno di 9mila partenze l’Afghanistan.

Lezioni d’asilo

Che Lampedusa sia allo stremo, e l’Italia di fronte a una ripresa eccezionale di traffici di migranti nelle acque al suo meridione, non v’è dubbio insomma – e non a caso partner e istituzioni Ue non hanno potuto, dopo le iniziali incertezze, fare a meno di riconoscerlo e di porgere, per lo meno a parole, la loro solidarietà. Eppure se in Europa continentale si guarda regolarmente con un certo stupore alle grida di dolore dal Belpaese del tono «dobbiamo portare noi sulle spalle il peso di tutti i migranti che vogliono l’Europa» non è solo per menefreghismo o atavici pregiudizi anti-italiani. È (anche) che sotto un altro cruciale profilo l’Italia all’avanguardia in Europa non lo è proprio: quello dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Qui sono i dati raccolti e diffusi mensilmente da Eurostat a parlar chiaro. L’Italia è stabilmente dietro gli altri grandi Paesi Ue di “taglia” simile per domande d’asilo trattate: nel 2022 le 84mila richieste gestite da Roma sono state poco più di un terzo di quelle trattate dalla Germania (quasi 244mila) e della metà della Francia (156mila); decisamente meno anche di Spagna e perfino dell’Austria. E nel 2023, stando ai dati sin qui disponibili, la musica non pare cambiata, se non per un ridimensionamento delle domande trattate da Vienna che ci porta al quarto posto dietro gli altri tre grandi Paesi Ue. Emergenze a parte, insomma, il «peso» dell’integrazione dei richiedenti asilo in Europa – coloro i quali chiedono protezione internazionale perché in fuga da guerre o persecuzioni politiche – è portato in primis dalla Germania, poi da Francia e Spagna (che ha 12 milioni in meno di abitanti di noi) e solo dopo dall’Italia.

Pure se ci si allontana con lo sguardo dall’attualità e lo si posa sullo «stock» di popolazione straniera che ciascun Paese deve fare l’oggettivo sforzo (politico, culturale, economico, urbanistico) di integrare, l’Italia non è lo Stato chiamato alle fatiche maggiori. Né in termini assoluti né in termini relativi. Coi suoi 5,2 milioni di cittadini stranieri (appena meno, dato aggiornato al 1° gennaio 2022) l’Italia deve “gestire” una percentuale di popolazione che ha radici altrove pari all’8,8%. Numeri meno impegnativi di quelli francesi – che a Emmanuel Macron così come a svariati suoi predecessori non hanno mancato di provocare serie preoccupazioni: Oltralpe si contano (Insee, 2022) 7 milioni tondi di immigrati, pari al 10,3% della popolazione. E la Germania? Anche da questo punto di vista gioca di fatto ancora in un’altra categoria. Qui secondo l’ufficio di statistica nazionale i cittadini stranieri sono oltre 11,5 milioni (dei quali, secondo la definizione adottata, quasi 10 milioni hanno avuto una «esperienza migratoria diretta»). Pure tenendo conto della taglia demografica del Paese, più ampia di qualsiasi altro in Ue (83,1 milioni di abitanti), ciò significa che la Germania gestisce una popolazione straniera pari ad oltre il 14% del totale.

La variabile d’Oriente

Se all’espressione «pressione migratoria» popoli d’Europa diversi associano in questi mesi significati decisamente diversi – da cui nascono facilmente incomprensioni e ripicche – è poi per un’altra variabile sin qui non ricordata, perché in tutti i conteggi ufficiali categorizzata a parte: l’afflusso di rifugiati dall’Ucraina. Già, la guerra sul fronte Est d’Europa pare congelata in uno stallo disperante, e ha perso via via d’interesse agli occhi degli europei. Ma non c’è sforzo di accoglienza più grande svolto in Europa negli ultimi 18 mesi di quello per dare un sostegno immediato e concreto a milioni di cittadini ucraini in fuga dalla guerra. E se altri Paesi giurano di avere altre priorità quando l’Italia si sbraccia per chiedere aiuto di fronte agli sbarchi-record di Lampedusa, è anche per questo. Dei 5,8 milioni di rifugiati in Europa dal Paese aggredito dalla Russia, 4,1 dei quali hanno richiesto come previsto il regime di protezione temporanea, risultano accolte in Italia (dati Unhcr) 167.525 persone. Cifra significativa, ovviamente, ma che impallidisce al cospetto di quelle che hanno dovuto (e accettato di) gestire alcuni Paesi del centro-est Europa: in particolare la Germania (ne alloggia oggi quasi 1,1 milioni, oltre un quarto del totale); la Polonia (poco meno di 1 milione, dopo aver gestito da febbraio 2022 il passaggio di almeno 1,6 milioni di persone); e la Repubblica Ceca (366.300, che su una popolazione totale di poco più di 10 milioni di persone significa oltre 3 rifugiati ogni 100 abitanti). La stessa Spagna, pur decisamente più remota dall’Ucraina, accoglie secondo l’Unhcr più rifugiati ucraini dell’Italia: 190.370. Per le ragioni più varie, insomma, sul fronte dell’accoglienza del popolo di Volodymyr Zelensky lo sforzo italiano è stato molto meno titanico di quello affrontato da altri Paesi.

Quanto al fronte orientale, non va infine dimenticato che in Polonia i pensieri inquieti vanno anche al confine tremebondo con la Bielorussia, l’unico vero alleato di Vladimir Putin, che negli ultimi mesi ha dichiarato di aver ricevuto dalla Russia testate nucleari e miliziani del gruppo Wagner. E il cui regime gioca spudoratamente con i migranti spedendone a migliaia verso il confine con l’Ue quando lo ritiene utile: nel 2023, secondo Varsavia, sarebbero già 19mila i tentati ingressi illegali da quella frontiera, più di quelli registrati in tutto il 2022. Per far fronte alla sfida, il governo di Varsavia non ha lesinato gli sforzi, inviando nelle scorse settimane lungo il confine migliaia di soldati oltre alle 5mila guardie di frontiera già presenti. I metodi con cui gli agenti polacchi respingono i migranti verso gli sperduti boschi bielorussi sono brutali e indegni di un Paese europeo, denunciano da mesi le associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. Ma tra una manciata di settimane in Polonia si vota, e i governanti di Varsavia non hanno intenzione di mostrare la minima incertezza. Così come (quasi) tutti gli altri governi Ue verso la loro, di emergenza-migranti.

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