Qatargate, Andrea Cozzolino: «Il Pd mi ha maltrattato, mai preso soldi per le tangenti»

L’europarlamentare; Panzeri mente per salvarsi

Andrea Cozzolino è l’eurodeputato del Partito Democratico finito nello scandalo del Qatargate. Dopo aver trascorso quattro mesi ai domiciliari, il 15 giugno la Corte d’Appello di Napoli ha revocato gli arresti. Nel frattempo è stato posto in stato di fermo a Bruxelles e poi rilasciato. Oggi, in un’intervista al Corriere della Sera riepiloga la sua vicenda giudiziaria e accusa il suo partito di non averlo protetto. Sospendendolo e «comunicandomelo via stampa e senza che avessi ricevuto un avviso di garanzia. Mi attendevo più rispetto per un parlamentare che ha sempre svolto la sua attività con disciplina ed onore. È stato disumano, indecente». Dubita che il suo arresto fosse necessario: «Soprattutto dopo che avevo comunicato alla magistratura, più volte, la disponibilità ad essere interrogato e chiesto io stesso alla commissione Juri di revocare l’immunità parlamentare? Ho fatto 4 mesi di domiciliari inutili, senza che arrivasse un solo nuovo elemento dalle indagini».


Il carcere

Ricorda con Giuseppe Guastella che quelli in carcere «sono stati momenti molto delicati (e si commuove, ndr). Vengo da una famiglia di origini molto umili legata alla storia della sinistra napoletana, mia nonna è stata medaglia d’oro della resistenza, mio padre un grande dirigente di Cgil e Pci. Mi ha devastato la sola idea di fare ombra a quella storia». A Poggioreale lo hanno messo «in una cella piccola, vetri rotti, freddo, un bagno indecente. Tanta disperazione. Quel carcere va chiuso». Dice che Panzeri si è accordato con la procura di Bruxelles «in una situazione per lui drammatica, con i soldi in casa e moglie e figlia in arresto come lui. La convenienza è evidente». Mentre secondo lui l’inchiesta è stata un flop: «Sembrava dovesse crollare il Parlamento europeo, con decine di parlamentari coinvolti, grandi flussi finanziari… e poi? Tutto si è ridotto a poche persone, che pure a voler credere alle accuse, che ad oggi sono senza riscontri, non avrebbero avuto la benché minima possibilità di influenzare le attività parlamentari».


La confessione di Panzeri

Sui soldi che avrebbe preso secondo la confessione di Panzeri replica così: «Se fosse vero, dovrebbe saper dire anche dove, come, quando e perché. È una volgare falsità per rendere credibile il suo racconto. La mia storia finanziaria è trasparente, ho sempre condotto una vita molto sobria». E dice che al convegno in cui avrebbe preso 250 mila euro non ha «mai partecipato, non ero a Doha nel 2019. Basta controllare il mio passaporto». Né ha mai avuto soldi dall’ambasciatore marocchino a Varsavia: «Mai avuto un euro da Atmoun. Con lui c’è stato un rapporto di collaborazione politica e di amicizia basato sul pieno rispetto reciproco. Stiamo parlando di un alto diplomatico». Sul viaggio pagato dai servizi segreti di Rabat: «Sono stato invitato da Atmoun, già presidente della commissione Marocco-Ue, nella mia veste di presidente della commissione Maghreb, per incontrare il principale consigliere del Re per la politica estera per aprire, sotto la regia del Parlamento europeo, un dialogo tra Marocco ed Algeria poiché si stava consumando una rottura».

I servizi e i segreti

E infine dice che Panseri mente «per salvare il salvabile. Le pare poco? Penso che la pressione del carcere abbia rotto in lui l’equilibrio tra verità e finzione. Del resto, a quanto è dato capire, anche al Qatar e al Marocco ha riferito informazioni e iniziative parlamentari che erano già nel solco della linea politica estera già assunta dal Parlamento, e in molti casi finanche reperibili sulla homepage del Parlamento europeo. C’è, invece, un tema di fondo che non riguarda la protezione di una casta, ma l’autonomia e l’indipendenza dell’attività parlamentare. Le indagini hanno origine dai servizi segreti, forse addirittura non europei, e riguardano parlamentari e gruppi parlamentari, che sono stati coinvolti in intercettazioni che nessun giudice ha mai autorizzato. Una violazione grave delle sue prerogative alla quale il Parlamento non ha saputo rispondere come avrebbe dovuto».

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