Michele Santoro: «Matteo Messina Denaro voleva incontrarmi per un libro su di lui. Così ci hanno fermato» – L’intervista

Il giornalista racconta a Open la “trattativa” con il Dap, la procura e l’Antimafia. Poi parla delle domande che avrebbe voluto fargli, del caso Avola a Caltanissetta e della “pista americana” per le stragi di Capaci e via d’Amelio. Mentre il Boss dopo il diniego si paragonava a Nelson Mandela

Il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro voleva incontrare Michele Santoro, che voleva scrivere un libro su di lui. Ma la richiesta del giornalista alle istituzioni non ha mai ricevuto risposta. Santoro racconta a Open che aveva contattato il capomafia trapanese tramite la sua avvocata. E che aveva ricevuto una risposta positiva alla proposta di incontrarlo in carcere a L’Aquila. Poi parla delle domande che avrebbe voluto fargli e della decisione del Gip Santi Bologna sulle dichiarazioni di Maurizio Avola a proposito delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. La procura aveva chiesto l’archiviazione per la ricostruzione fornita dall’ex collaboratore di giustizia catanese dopo averlo indagato per calunnia insieme al suo avvocato Ugo Colonna. Ma il giudice ha respinto la richiesta di archiviazione e ha ordinato alla Procura di continuare le indagini per altri sei mesi. Per approfondire le accuse del collaboratore di giustizia.


«Matteo Messina Denaro è sempre stata una chiave per comprendere cosa era successo dalle stragi di mafia del 1992 in poi a Cosa Nostra. Di questa organizzazione che ha segnato la storia del nostro Paese oggi sappiamo poco o niente. Raccolgo da tempo il maggior numero di informazioni possibili su questo. Capire come si era svolta la latitanza dell’ultimo padrino era essenziale», spiega Santoro. L’arresto, come aveva detto all’epoca, lo aveva lasciato perplesso. Perché «Matteo Messina Denaro aveva come scopo primario della sua esistenza quello di non farsi catturare,. Non esisteva una foto o una intercettazione o la notizia certa di un incontro e all’improvviso si mette a fare i selfie con gli operatori della Maddalena? Non credo affatto che abbia vissuto gli anni di latitanza solo in Sicilia, ma morire da solo a Dubai o in Tunisia sarebbe stato insopportabile anche per lui. Invece qui poteva finalmente vedere per la prima volta la figlia e incontrare i membri della sua famiglia. Quando la malattia è avanzata ha abbassato le difese. Non si è consegnato perché uno come lui non tratta con le istituzioni ma sapeva che prima o poi lo avrebbero preso».


Il furgone che sorpassa l’auto di Mmd prima della cattura

Santoro ricorda che le indagini per catturare Messina Denaro si sono sempre svolte monitorando strettamente la sua famiglia. E che solo la sua malattia spiega il fattoche l’abbiano trovato in case e con frequentazioni con chi aveva legami diretti o indiretti con Cosa Nostra: «Per questo i poster del Padrino e di Joker nella sua abitazione sono un modo per dire agli investigatori “Bravi, finalmente ce l’avete fatta”». E il giornalista rivela un dettaglio inedito: «Quando stava andando in clinica a Palermo si è accorto che la sua auto è stata sorpassata da un furgone “sospetto” che trasportava chi l’avrebbe catturato. Per un attimo il suo riflesso è stato quello di invertire la direzione e scappare. Poi invece ha deciso di proseguire. È un dettaglio che mi è stato riferito ma che è stato lui a raccontare».

Non si è “fatto prendere”

Insomma, secondo Santoro quella del Padrino di Castelvetrano è stata «una resa condizionata dalla malattia. L’operazione dei carabinieri è stata limpida, ma facile e non ha portato a nessuna scoperta importante». Forse perché dopo una caccia di trent’anni un po’ di fortuna ci vuole: «D’altro canto è sempre stato diverso dai capimafia che l’hanno preceduto. Laico, informato aveva le sue opinioni su tutto. Per questo sarebbe stato molto interessante poterlo incontrare». Anche se, ricorda Santoro, lui non si sente un cronista giudiziario «o un “mafiologo” come altri. Io mi avvicino con un occhio particolare al Male. Senza moralismi o condanne preventive».

L’approccio tramite Lorenza Guttadauro

Per questo, racconta Santoro, ha deciso di scrivere all’avvocata Lorenza Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro. «Dopo qualche settimana mi è arrivata una risposta. Era positiva. L’avvocata diceva che lui sarebbe stato molto contento di incontrarmi e mi ha chiesto ragguagli. Io gli ho descritto meglio che tipo di libro avrei voluto scrivere e che tipo di interessi avevo su di lui. Gli ho spiegato che dal mio punto di vista si trattava di un confronto drammatico come quello che ho avuto con Maurizio Avola. Non ero un giudice e non volevo emettere condanne ma capire. Altrimenti lo avrei messo solo sulla difensiva senza che mi dicesse nulla di interessante. La risposta è stata ancora più incoraggiante. Mi ha mandato a dire che era pronto ad incontrarmi e che sarebbe stato felice di collaborare per questo libro.».

Il Dap

Quando arriva l’ok del Boss, Santoro contatta il capo del Dap Giovanni Russo precisando che non si trattava di un articolo ma di un lavoro particolare che avrebbe richiesto tempi lunghi e che probabilmente sarebbe stato un libro postumo. «Avrebbero anche potuto registrare i colloqui per utilizzarli per le investigazioni, ovviamente. Potevano fare quello che ritenevano più opportuno, anche visionare il lavoro prima della pubblicazione per vedere se c’erano elementi di pericolo per la collettività». Russo gli consiglia di scrivere una richiesta formale indirizzata a lui, all’Antimafia e alla procura di Palermo. «Ho indirizzato la richiesta alle istituzioni competenti. Naturalmente senza ricevere mai una risposta», racconta. «Tramite l’avvocato ho poi saputo che avevano valutato di respingere la mia richiesta perché le regole del 41 bis impedivano di fare qualsiasi cosa».

Gli incontri

Il che è vero, però. «No, non è vero. In altre occasioni il permesso è stato accordato. E lui in nessun modo avrebbe mai collaborato con le istituzioni. Con un giornalista sarebbe stato diverso, perché non sarebbe stata una rinuncia al suo ruolo di capo, non avrebbe avuto il senso di una confessione. Sarebbe stato anche un modo per lui di esprimersi in libertà. E mi chiedo: perché faceva paura un Matteo Messina Denaro che consegna dichiarazioni o memorie?». Anche se le opportunità per parlare negli interrogatori le ha avute: «Ma non voleva collaborare. Magari invece un giornalista come me, che garantisce assoluta indipendenza dalle procure, lo avrebbe spinto a dire qualcosa di clamoroso. È molto grave che i procuratori parlino solo con i giornalisti che gli danno ragione. Che poi, guarda caso, sono poi quelli che ricevono in esclusiva le notizie coperte dal segreto istruttorio, a volte in violazione della privacy».

La privacy di Mmd

Secondo Santoro infatti la fuga di notizie sulle cure mediche del capomafia «non aveva un oggettivo interesse pubblico. Quando ho letto delle considerazioni del padre sui comportamenti sessuali della figlia mi sono domandato cosa c’entrasse tutto ciò con Cosa Nostra». Lorenza Alagna, che ha scelto di portare il cognome del padre poco prima che lui morisse, «non è un soggetto pubblico ma ha subito una violazione della privacy. Con la diffusione di elementi coperti da segreto istruttorio. Ma non solo si violano violate le regole: si privilegiano pure i giornalisti che ti danno ragione. E questo è abbastanza inquietante, ecco».

Gli interrogatori

Santoro poi dice che dai verbali degli interrogatori è emerso che Messina Denaro su Capaci ha detto che ci sono cose «che ancora non conoscete. E questo potrebbe incrociare con ciò che scrivo nel mio libro su Maurizio Avola, che aveva chiamato in causa Cosa Nostra americana a proposito delle stragi di Falcone e Borsellino. Sarebbe stato importante chiederne conto a Messina Denaro. Purtroppo ci siamo dovuti accontentare delle affermazioni trapelate attraverso i giornalisti amici della Procura». Forse loro sono più bravi? «O forse sono solo più buoni. E gli altri sono cattivi. Tanto cattivi che quando il mafioso Francesco Tagliavia, all’ergastolo per l’attentato di via dei Georgofili a Firenze, ha chiesto di poter leggere il mio libro i giudici gli hanno risposto che è pericoloso».

I giornalisti cattivi

Secondo Santoro i giornalisti cattivi «sono quelli che non credono ad alcune piste che non hanno mai trovato punti d’appoggio solidi per le loro teorie e vengono smentiti dalle sentenze». Ma che hanno trascurato la pista americana per le stragi di Capaci e via D’Amelio: «Prima ancora che il mio libro arrivasse nelle librerie la Procura di Caltanissetta in maniera del tutto anomala ha emesso un comunicato stampa ipotizzando un depistaggio e dichiarando che lui non era credibile. E via con le paginate e le interviste per buttare fango. Poi succede che un giudice valuta le carte e dice: “Ma come fate a dire che Avola non è credibile?”». Il gip Bologna ha deciso per un approfondimento, però: «Però che? La prima cosa che afferma in maniera inequivocabile smentendo la Procura e inostri critici è che Avola è attendibile perché lo dicono le sentenze. E specifica che non è un soggetto che non preoccupi dal punto di vista criminale, ma la sua attendibilità deriva dal fatto che ogni cosa che ha detto da collaboratore non è stata smentita. E lo ricorda alla procura di Caltanissetta».

Il lavoro delle procure

Non solo: «Il Gip ricorda alla procura anche tutte le circostanze che avrebbero dovuto portarla a valutare le dichiarazioni di Avola. Il che non vuol dire prenderle per buone senza riscontri. Vuol dire fare il proprio lavoro. E invece è arrivato un assalto ad Avola per definirlo inattendibile e a noi giornalisti autori del libro. Bada bene, per una unica osservazione fatta da Avola che è fino a oggi l’unico che dice di aver partecipato di persona all’attentato in cui hanno perso la vita Borsellino e la sua scorta. Ed è l’unico che parla della partecipazione di Cosa Nostra americana alla strage». Cosa ha scatenato la Procura contro di noi? Gaspare Spatuzza ha raccontato che nel garage in cui venne preparata l’auto usata per l’attentato c’era una persona sconosciuta. «Secondo la procura doveva essere uno dei servizi segreti. Avola ha detto che in quel garage c’erano lui e Aldo Ercolano e che quindi probabilmente ‘U Tignusu ha visto uno di loro due, che non conosceva perché catanesi», ricorda Santoro. Ma la Procura è sicura che fosse un agente dei Servizi anche se in molti decenni di indagini non c’è alcuna prova di questo. Inoltre né noi né Avola escludiamo che i servizi segreti abbiano potuto avere un ruolo nelle stragi. Anche se, per come conosco Cosa Nostra, non si è mai visto che sia andata a mettere le bombe insieme agli “sbirri”».

Il braccio rotto

Nella testimonianza di Avola però la storia del braccio rotto. Avola è stato fermato dalla polizia il giorno prima dell’attentato a Borsellino e aveva un braccio rotto. Lui non lo ha raccontato né nel libro di Santoro con Guido Ruotolo “Nient’altro che la verità” né nella sua prima testimonianza davanti ai pubblici ministeri. «Quando gli hanno mostrato il verbale del fermo, ha detto che non se ne ricordava ma che aveva sempre fatto presente di essere andato più volte a Catania da Palermo, che aveva un gambaletto che toglieva quando voleva e che la frattura del polso sinistro non gli impediva di agire. «Il giudice anche su questo ha ordinato un approfondimento che la procura non ha svolto. E poi Avola ha raccontato che nel reparto dell’ospedale c’erano dei mafiosi che lui conosceva. Così come sull’appartamento di via D’Amelio affittato prima della strage Avola ha raccontato che c’era una bambina. E una bambina c’era». Ma la procura qui ha obiettato che all’epoca l’immobile apparteneva a un carabiniere: «E allora ? I servizi segreti possono costruire le bombe e metterle e i carabinieri non possono affittare o prestare una casa?», scherza.

La memoria di Avola e quella di Michele

Rimane però un punto: Avola ha raccontato dettagli e particolari su quello che è successo in quei giorni del luglio 1992 ma ha dimenticato proprio la circostanza del braccio rotto. «Ma anche io – obietta il giornalista e autore televisivo – ho provato a ricordare dove ero il giorno prima della staffetta tv per Libero Grassi. Un anno prima di via D’Amelio. Non ci sono riuscito. Sarebbe stato diverso se avessero dimostrato che Avola o una sola delle persone da lui citate non era in via D’Amelio. Ma non lo hanno fatto». E ancora: «Il racconto su come è stata imbottita l’auto è molto coerente con il tipo di cratere che si è aperto sull’asfalto. L’esplosivo sotto il sedile del passeggero è un particolare inedito del racconto di Avola». Ma la parte più importante delle dichiarazioni di Avola riguarda la pista americana. La procura ha fatto notare che sul punto Avola prima ha definito l’uomo uno straniero e poi un forestiero: «Per lui è sempre stato un italo-americano. Ovvero un esponente della famiglia Gambino. E queste cose le aveva già dette nel 1994, non qualche anno fa. Questo è un riscontro clamoroso. E il Gip dice che andrebbe approfondito».

La pista americana

Santoro aggiunge che in più il racconto di Avola sulla preparazione dell’auto non smentisce un ruolo dei servizi segreti nell’attentato: «Vuol dire semplicemente che non c’era nessuno di loro lì in quel momento. Ma perché avrebbero dovuto esserci? Spatuzza ha detto di aver visto una persona nemmeno in maniera nitida ma ben vestita. Solo perché è ben vestito deve essere dei servizi segreti? Secondo Avola Aldo Ercolano, anche se era più giovane, dimostrava di più della sua età». E tra l’altro proprio Avola colloca Matteo Messina Denaro in via D’Amelio il 19 luglio del 1992: «Avrei potuto chiederglielo, se mi avessero lasciato scrivere il libro. Certo, lo avrebbe smentito, ma in che modo? Tutto quello che ha detto ai magistrati lo sappiamo, non sappiamo cosa avrebbe detto a me».

Mmd e via D’Amelio

E ancora: «Il punto è che non si è voluto fare incontrare Michele Santoro, giornalista cattivo, con Matteo Messina Denaro. E si è fatto di peggio per trovare conferme alla propria verità inventata di sana pianta. Si è messo un trojan nel telefono di giornalisti che stanno lavorando e per farlo si è usata la denuncia di un capomafia di rango, Aldo Ercolano, vice di Santapaola. Poi ci hanno interrogati come testimoni con l’obbligo di dire la verità quando eravamo potenziali indagati che dovevano essere sentiti con un difensore. Ho il diritto di difendermi se sono indagato». La versione della procura è che i trojan siano stati messi per acquisire elementi investigativi: «Ma la Corte dei diritti europei ha già bollati i trojan come invasivi per gli indagati. Figurati per un giornalista. E ancora: si intercetta l’avvocato di Avola, Ugo Colonna ledendo i diritti della difesa e colpendo un professionista che sta facendo il suo lavoro. Sono abusi colossali che i giornali hanno ignorato. L’ordinanza del giudice che censura duramente l’operato della procura».

Un cumulo di abusi

Per Santoro «ci siamo trovati davanti a un cumulo di abusi. Ho scritto a Mattarella proprio per questo. Hanno incluso nel fascicolo l’indirizzo dell’abitazione e il luogo di lavoro di Avola. Mettendolo a rischio visto che il fascicolo è stato portato alla conoscenza anche di Aldo Ercolano. Mentre lui sta cercando di rifarsi una vita e non ha nessuna protezione. Ci rendiamo conto della gravità della situazione?». Anche se, ricorda Santoro, la nuova Cosa Nostra «non spara più ma le scorte ci sono per tutti. Quindi vuol dire che il pericolo è ancora attuale».

Silvio Pellico e Nelson Mandela

Ma dagli scarni scambi di informazione con il capomafia trapanese Santoro ricorda anche altro: «Quando si capisce che le istituzioni non vogliono l’incontro, Messina Denaro dice: “Se fosse stato per loro nemmeno Silvio Pellico o Nelson Mandela avrebbero potuto dire niente”. Qualcuno potrebbe sorridere del paragone, ma porca miseria!, mi stava dicendo che le stragi avevano un carattere politico e che lui si considerava un capo politico?”». O forse si sentiva solo un prigioniero politico, come i mafiosi irriducibili si sentivano all’epoca: «Però quelli citati erano dei leader politici. Lui si è paragonato a loro. E questa cosa qui era “meritevole” almeno di “un approfondimento”, come direbbe il giudice di Caltanissetta. O no?».

Meglio non saperlo

Santoro dice che i pm preferiscono indagare su altro: «Il ruolo dei servizi segreti, quello di Berlusconi che avrebbe ordinato le stragi. Tutte domande che non porteranno a niente pur ripetendosi e replicandosi all’infinito, o che sono state già smentite dalle sentenze. Magari qualche elemento nuovo avrebbe potuto darcelo Matteo Messina Denaro, ma si vede che era meglio non saperlo».

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