Vittorio Sgarbi indagato per furto di beni culturali per il dipinto di Manetti. Il sottosegretario: «Non ho ricevuto avvisi e non ho rubato»

Tutto parte dalla procura di Imperia e dall’inchiesta sul quadro “La cattura di San Pietro”. Le altre due ipotesi di reato e la difesa del critico d’arte

Prima l’annuncio su il Fatto Quotidiano, poi la difesa a spada tratta, tramite il suo legale. Questa la mattinata un po’ movimenta del sottosegretario ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi, che risulta indagato, secondo quanto riportato oggi dal giornale diretto da Marco Travaglio, di furto di beni culturali. Ad aprire il fascicolo la procura di Imperia: è collegato a un’altra indagine per espropriazione illecita di opere d’arte. Ma a indagare è la procura di Macerata, perché Sgarbi ha il domicilio a San Severino Marche. Il fascicolo potrebbe finire in un’altra procura ancora per competenza territoriale. È in ballo anche l’aggravante dell’associazione. Mentre l’ipotesi di reato principale potrebbe allargarsi: contraffazione, ricettazione di opere d’arte e truffa. L’oggetto del furto sarebbe il dipinto La cattura di San Pietro di Rutilio Manetti, rubato nel 2013 dal castello di Buriasco in Piemonte. L’altra indagine invece fa riferimento a un dipinto attribuito a Valentin De Boulogne, anch’esso riprodotto nello stabilimento di Correggio. Dove ieri sono arrivati i carabinieri.


La difesa di Sgarbi

«Dalla procura della Repubblica di Macerata non è arrivata alcuna comunicazione di ipotesi di reato, né al sottosegretario Vittorio Sgarbi e tantomeno al sottoscritto», precisa all’Ansa l’avvocato maceratese Giampaolo Cicconi che assiste Sgarbi. «Quello che sappiamo è quanto letto sulla stampa e già questo è singolare», sottolinea il legale che ricorda l’eventuale «violazione del segreto istruttorio». «Ad oggi – conclude l’avvocato – non siamo in grado di commentare alcunché e se mai dovesse arrivare la notifica dalla procura, spetterà al sottosegretario Sgarbi decidere a chi affidare l’eventuale assistenza». Queste invece le parole di Vittorio Sgarbi: «Io non ho ricevuto nessun avviso d’indagine. Né saprei come essere indagato di un furto che non ho commesso. E per un reato compiuto 11 anni fa, in circostanze non chiarite dagli inquirenti di allora. Da questa notizia risulta una palese violazione del segreto istruttorio, l’unico reato di cui ci sia evidenza». Per il sottosegretario alla Cultura questa è «l’ennesima diffamazione» e «ancora una volta Il Fatto mente». «Da quello che si legge, l’opera è stata malamente tagliata. E quella in mio possesso è in buone condizioni e con una stesura pittorica ben conservata e uniforme. Qualunque valutazione va fatta sull’opera di cui quella rubata è manifestamente una copia, come tutte quelle conservate in quel castello di cui nessuno si è preoccupato. Né credo sia un reato fare eseguire la fotografia di un’opera di cui tutti gli esperti hanno visto l’originale esposto a Lucca». «Che la Procura d’Imperia abbia trasmesso gli atti a Macerata come sede competente è una notizia che potrebbe avere un senso se, come la legge prevede, io ne fossi a conoscenza. Ma così non è. Dovrebbe infatti essere un magistrato, non un giornalista, a stabilire su cosa indagare e sulle complicità di restauratori e fotografi, accusatori improvvisati, ma che potrebbero rivelarsi complici di più gravi reati e omissioni», sottolinea il sottosegretario.


L’indagine

L’indagine viene svelata oggi dal Fatto Quotidiano, che con Report ha raccontato la storia del dipinto di Manetti. Le altre contestazioni di reati potrebbe riguardare l’ipotesi che il sottosegretario del governo Meloni abbia modificato la tela per farla sembrare diversa rispetto a quello di proprietà di Margherita Buzio, che ha denunciato il furto all’epoca. Nell’occasione i ladri tagliarono la tela e graffiarono la cornice. Lasciando però un lembo della tela. Nell’opera esposta da Sgarbi a Lucca, più o meno al centro, appare una fiaccola che nelle foto dell’originale non c’è. Secondo il sottosegretario l’opera invece è stata ritrovata casualmente a Villa Maidalchina, una residenza nobiliare che nel 2000 viene acquistata da Rita Cavallini, la madre di Sgarbi. C’è poi la storia dell’esposizione del dipinto a Lucca: l’ipotesi è che non sia stato mostrato l’originale ma una riproduzione in alta risoluzione.

Il restauratore

Nei giorni scorsi Sgarbi ha reagito alla vicenda denunciando i giornalisti che lo seguivano allo scopo di fargli domande per stalking. E ha anche contestato la messa in onda dei servizi. I carabinieri hanno interrogato infatti il restauratore Gianfranco Mingardi, che ha riconosciuto l’opera come quella ricevuta da Paolo Bocedi, collaboratore di Sgarbi. A Correggio sono stati ascoltati i due titolari di G-Lab, che realizzarono una copia in HD del dipinto. Nel loro laboratorio è rimasta la scansione a 16k nella quale si può notare la coincidenza tra le parti lesionate e i ritocchi. In particolare il frammento trovato nella villa e che si incastra con uno strappo in basso a destra nell’opera. I restauratori hanno anche trovato un “difetto” che dimostrerebbe tutto sul dipinto.

L’istruttoria dell’Antitrust

Samuele e Cristian De Petri, titolari di G-Lab, dicono che quando hanno ricevuto il quadro la candela c’era già. Hanno ricevuto 6.100 euro per il loro lavoro. Sgarbi è il protagonista anche di un’istruttoria dell’Antitrust che indaga per conflitto d’interessi. In questo caso sotto la lente ci sono le ospitate effettuate durante il suo mandato di sottosegretario. Il critico d’arte ha anche accusato in più occasioni Il Fatto e Report di spargere fake news nei suoi confronti. Nel mirino dell’authority, tra l’altro, le società che avrebbe taciuto all’Antitrust. Il politologo Stefano Passigli ha detto che Sgarbi potrebbe aver sbagliato nell’«aver omesso all’Antitrust di aver costituito delle società organizzare e fatturare le sue attività».

La polemica con Sangiuliano

Nell’occasione il sottosegretario ha anche polemizzato con il suo ministro Gennaro Sangiuliano. «Non ho niente da dire a uno che mi segnala sulla base di una denuncia anonima. E che tre giorni dopo, come se niente fosse, con l’affetto di sempre, mi manda a Bologna al suo posto per la faccenda della Garisenda. “Vai tu, Vittorio, sei il migliore”. Doveva parlare con me, prima. Gli avrei spiegato». Le mail che hanno innescato l’istruttoria le ha consegnate un suo ex dipendente.

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