Teatro di Roma, la ricetta di Sgarbi per risolvere la grana: «De Fusco chieda che si rivoti la sua nomina. Così non può dirigere»

Il sottosegretario alla Cultura prova a mediare dopo la polemica scaturita dal blitz in Cda della destra

Dopo l’ira del sindaco Roberto Gualtieri e la lettera pubblica degli artisti, ora prova a mediare Vittorio Sgarbi nel polverone che sta travolgendo i vertici del Teatro di Roma dopo la nomina a direttore del regista Luca de Fusco. Oggetto della discordia è la modalità con cui è avvenuta la votazione nel consiglio della Fondazione: non erano presenti né il presidente Francesco Siciliano – ora su tutte le furie – né la consigliera del Comune di Roma Natalia Di Iorio. Così il sottosegretario alla Cultura propone una soluzione: ripetere la votazione, in una seduta con tutti i crismi. «Un direttore deve chiedere di essere votato da tutto il consiglio di amministrazione per il rapporto costante che deve avere con quella istituzione. Non può dirigere a prescindere dal Cda. È un gesto che gli farebbe onore, e smentirebbe il non gradimento del sindaco che lo definisce, come se a teatro fosse un limite, ‘regista’ e non ‘manager’ (figura umiliante e senza storia)”», dichiara Sgarbi.


«De Fusco non vale meno degli altri»

«Con ciò consoliderebbe la sua elezione, garantita comunque dalla maggioranza nel plenum del consiglio, e riabiliterebbe, per tutto il mondo del teatro, la figura del regista nella sua funzione di direttore», prosegue il critico d’arte in una nota. D’altra parte secondo Sgarbi il presidente della Fondazione «può, come ha fatto, rimandare la riunione, ma non evitarla. E De Fusco può nobilmente chiedere di essere votato da tutti. Un contropiede limitatamente rischioso, rispetto allo schema di prepotenza che è stato rappresentato. Così la sua direzione è mutilata e minacciata». Il sottosegretario spezza comunque una lancia a favore di De Fusco, il cui valore professionale pare finito in secondo piano nel mezzo della bufera politica: «Per la sua storia, non vale meno degli altri candidati, politicamente, più che culturalmente, a lui contrapposti».


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