«Israele fuori dall’Eurovision 2024»: la campagna degli artisti del Nord Europa per escludere il Paese in guerra

L’edizione annuale della gara sarà a maggio in Svezia: proprio dalla Scandinavia crescono le richieste di escludere Israele. Che ribatte: «Così sostenete Hamas»

«Uniti dalla musica», recita il claim ufficiale della prossima edizione di Eurovision, in programma a Malmö dal 7 all’11 maggio 2024. Ma il percorso di avvicinamento all’appuntamento di quest’anno in Svezia non potrebbe essere più lontano dall’aura che gli organizzatori vorrebbero imprimergli. Da settimane infatti crescono in mezza Europa appelli e raccolte firme per chiedere alla European Broadcasting Union (Ebu) di escludere uno dei Paesi partecipanti dalla competizione: Israele. Coinvolto nell’Eurovision da ormai oltre 50 anni – la prima partecipazione è del 1973 – lo Stato ebraico è uno dei Paesi di maggior successo nella competizione: l’ha vinta ben quattro volte, l’ultima nel 2018 col successo di Netta, e in altre quattro occasioni il suo rappresentante è finito sugli altri due gradini del podio. Ma secondo militanti e artisti di una serie di Paesi europei la guerra in corso a Gaza e i «crimini di guerra» commessi dovrebbero portare all’esclusione di Israele dalla competizione. Il movimento di boicottaggio è partito dall’estremo nord d’Europa: non appena l’Ebu ha confermato che Israele sarebbe stato tra i 37 Paesi partecipanti all’edizione 2024, artisti islandesi hanno lanciato una petizione al limite dell’aut aut al loro broadcaster nazionale, Rúv: o Israele viene escluso da Eurovision, o l’Islanda si ritira. L’iniziativa ha rapidamente varcato i confini dell’isola nordeuropea ed è esplosa in Finlandia, dove 1.400 tra artisti e professionisti dell’industria musicale hanno scolpito così la richiesta: «Non si confà ai nostri valori che a un Paese che commette crimini di guerra e continua un’occupazione militare sia dato un palcoscenico pubblico per ripulire la propria immagine in nome della musica». Con la medesima postilla: se Israele non sarà escluso dagli organizzatori, sarà la Finlandia a boicottare l’evento, rifiutandosi di mandare il o la sua artista. E così dovrebbero fare anche tutti gli altri Paesi: diversamente vorrebbe dire che «gli altri Paesi partecipanti finiscono per sostenere le politiche di Israele», avvertono minacciosi i boicottatori.


La campagna social (ante litteram)

Sui social, in parallelo, è partita una campagna di raccolta firme per l’esclusione di Israele aperta a tutti, artisti e no. A lanciarla ed animarla un’attivista che si presenta, per lo meno online, come «Beatrice Quinn», 25 anni da Filadelfia, Usa. L’attivista queer, a dirla tutta, aveva lanciato la sua crociata digitale anti-Israele in tempi non sospetti. «Il genocidio non deve aver posto all’Eurovision», postava ì sulla sua pagina Instagram (830 follower) già lo scorso 11 settembre, settimane prima che Israele fosse colpito dal peggior attacco terroristico della sua storia ed iniziasse l’ultimo e più sanguinoso dei conflitti con Hamas. «Uno Stato apartheid che ha ucciso 8mila persone in un mese non ha diritto di partecipare all’Eurovision!», sosteneva già allora “Bea”, in uno dei post poi moltiplicatisi giorno dopo giorno. Da gennaio ne è nata la raccolta firme #Euroquision, aperta anche ad artisti che hanno partecipato a precedenti edizioni della competizione canora europea. Sei le adesioni che l’attivista sostiene sin qui di aver raccolto, comprese quelle dell’artista che ha rappresentato la Francia lo scorso anno, Fatima-Zahra Hafdi in arte “La Zarra”, e di colui che dovrebbe rappresentare quest’anno la Finlandia, Jesse Markin.


Le pressioni in Europa e la linea dell’Ebu

Le proteste si sono allargate anche alla Norvegia, dove secondo la stampa locale manifestanti del gruppo Aksjonsgruppa for Palestine si sono radunati davanti alla sede della tv NRK per chiedere di sostenere il boicottaggio, e all’Irlanda, dove ad avanzare pubblicamente la richiesta è stato un parlamentare laburista. Chiamato in causa, il premier Leo Varadkar, alla guida di uno dei Paesi Ue più vicini alle istanze palestinesi, s’è scrollato di dosso la questione dicendo che se ne deve occupare l’Ebu. Che il suo parere però l’ha già dato chiaro e tondo: «Eurovision Song Contest è una competizione per i broadcaster pubblici di Europa e Medio Oriente – non per i governi – e quello israeliano, Kan, vi partecipa da 50 anni e si confà a tutte le regole della gara», ha detto un portavoce dell’organizzazione citato dal Guardian. Ribadendo come il festival canoro «rimane un evento non-politico che unisce il pubblico di tutto il mondo attraverso la musica». Una tesi contestata dagli attivisti, che citano il precedente dell’esclusione della Russia dalla competizione negli ultimi due anni per via della guerra in Ucraina. Accostamento mostruoso e inaccettabile, ribatte Israele, ricordando come tutto è cominciato: «Il 7 ottobre Israele è stato brutalmente attaccato da un’organizzazione terroristica malefica che fa apertamente appello al suo annichilimento. Promuovere un boicottaggio di Israele significa sostenere le azioni di Hamas, premiare il terrorismo ed è incompatibile con i valori dell’Ebu e della competizione», ha replicato basito l’ambasciatore in Svezia Ziv Nevo Kulman.

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