Alessia Pifferi era capace di intendere e volere: l’esito della perizia psichiatrica. Rischia l’ergastolo

Ritenuto poco attendibile anche il test voluto dalle psicologhe del carcere, ora indagate insieme all’avvocata della 38enne

Era capace di intendere e volere Alessia Pifferi, la madre della piccola Diana morta di stenti e disidratazione a 18 mesi dopo che la 37enne l’aveva lasciata da sola in casa per diversi giorni. È l’esito della perizia psichiatrica voluta 4 mesi fa dai giudici della Corte d’Assise di Milano e depositata lunedì 26 febbraio nel processo per omicidio volontario aggravato. Il reato così contestato dall’accusa, e senza l’attenuante esclusa dalla perizia che le avrebbe consentito una riduzione di pena, può comportare l’ergastolo. «Al momento dei fatti ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana e ha anche adottato un’intelligenza di condotta viste le motivazioni diverse delle proprie scelte date a persone diverse», scrive il consulente Elvezio Pirfo, esperto già impegnato nel caso di Cogne, confermando le tesi del pubblico ministero «la donna non ha disturbi psichiatrici maggiori, né gravi disturbi di personalità». Nella perizia, lunga 130 pagine, si legge ancora: «Non essendo dimostrabile né una disabilità intellettiva né un disturbo psichiatrico maggiore né un grave disturbo di Personalità, è possibile affermare che Alessia Pifferi al momento dei fatti per i quali è imputata era capace di intendere e di volere […]. Vista la mantenuta capacità di intendere e di volere non è possibile formulare una prognosi di pericolosità sociale correlata ad infermità mentale. […] L’assenza di patologie psichiatriche ma soprattutto in presenza di un funzionamento cognitivo integro e di una buona capacità di comprensione della vicenda giudiziaria che la riguarda, sia in termini di disvalore degli atti compiuti sia dello sviluppo della vicenda processuale, la donna è capace di stare in giudizio».


L’indagine sulle psicologhe indagate

Nel documento depositato in tribunale si fa riferimento anche ai test psicologici eseguiti in carcere su Pifferi, al centro ora di un’altra indagine. Secondo la procura, due psicologhe del carcere di San Vittore e l’avvocatessa di Pifferi, ora indagate per falso e favoreggiamento, avrebbero aiutato la donna a ottenere la perizia psichiatrica falsificando un test psicodiagonistico, che ora viene ritenuto dal perito «non attendibile», sostenendo che la 38enne soffrisse di un deficit cognitivo. «Lo studio già eseguito sulle capacità cognitive della Pifferi», si legge nella perizia dell’esperto, «comprensivo del monitoraggio e dei colloqui che hanno preceduto la somministrazione del test di Wais, non è del tutto conforme ai protocolli di riferimento e alle buone prassi in materia di somministrazione di test psicodiagnostici e quindi l’esito del predetto accertamento non può essere ritenuto attendibile e compatibile con le caratteristiche mentali e di personalità dell’imputata per come emergono dagli ulteriori atti del procedimento e dall’osservazione peritale».


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