L’altro guaio della ministra Santanchè: «Un’altra truffa in Ki-Group sui fondi Covid»

Parla un ex manager del gruppo: la società è stata spolpata

La ministra del Turismo Daniela Santanchè rischia il processo sulla cassa integrazione Covid a Visibilia. L’ipotesi di reato è truffa: con la premier lei ha ragionato sull’ipotesi dimissioni in caso di rinvio a giudizio. Ma all’orizzonte c’è anche un’indagine per riciclaggio sulla vendita della casa del sociologo Francesco Alberoni con un milione di euro guadagnato in un’ora. E soprattutto, potrebbe aprirsi un altro fronte. Ovvero per il prestito di Invitalia a Ki Group, ricevuto sempre durante la pandemia. E del quale oggi parla l’ex manager del gruppo Stefano Banzi con Il Fatto Quotidiano. Banzi è stato agente per il Lazio della società per il biofood. La procura di Milano ha aperto un fascicolo sulla Srl che potrebbe raddoppiare l’accusa di bancarotta nei confronti della ministra di Meloni.


Invitalia e il fondo Patrimonio Pmi

Banzi ha fatto causa, come altri lavoratori, alla società. Mira ad avere le indennità che gli spettavano, ovvero circa 80 mila euro. Ma anche gli ultimi due anni di contributi Enasarco non versati. Da solo lui portava 2,5 milioni di fatturato alla società. Santanchè ha sostenuto di non aver mai gestito la società. L’ex manager la smentisce: «Finché ci sono stato io lei era presidente del cda e finché c’era un amministratore non presenziava direttamente alle riunioni con noi. Nelle ultime invece, al tempo del Covid, lei non solo era presente ma ci dava personalmente le direttive e ci spingeva a vendere. A noi però ci veniva da ridere: se non hai la merce perché non paghi i fornitori cosa diavolo vendi?». Poi la rivelazione: «In realtà la società aveva chiuso i rubinetti molto prima del Covid per i quali ha chiesto e ottenuto quegli aiuti pubblici».


Il Covid? Non c’entra nulla

Secondo Banzi la verità è che il Covid «non c’entra nulla. Lei ha chiesto aiuti ma il fatturato era calato perché non pagando i fornitori non ci mandavano la merce. A me capitava di avere ordini per 500 euro ma mandarne al cliente per 20 proprio perché in magazzino non c’era altro. La cosa ridicola è che quello sarebbe stato il momento più propizio per alzare il fatturato: pur di non fare la fila nella grande distribuzione, la gente andava a fare la spesa anche nei piccoli negozi bio dove non andava prima. Eravamo pieni di richieste, se solo avessimo avuto la merce. Ma io l’ho sentita con le mie orecchie dire che avrebbe chiesto gli aiuti pubblici perché l’azienda ne aveva bisogno. L’azienda aveva solo bisogno di una dirigenza che non la spolpasse per esigenze personali».

Leggi anche: