Luciano Canfora e Giorgia Meloni: «Non mi pento di averla chiamata neonazista nell’animo, ecco perché»

Il filosofo e la querela della premier: continuerò a ripeterlo

Luciano Canfora non è pentito di aver dato a Giorgia Meloni della «neonazista nell’animo». Dice di averlo fatto per il suo appoggio al Battaglione Azov. Il 16 aprile si terrà a Bari la prima udienza del processo per diffamazione dopo la querela della premier. E lui parla oggi in un’intervista a La Stampa. Nella quale spiega che non ha alcuna intenzione di scusarsi: «La questione, al di là del dibattito sulla questione ucraina, è oggettiva. Meloni discende dal Movimento sociale, un partito che si riferiva alla storia della Repubblica sociale, cioè a uno stato satellite del Terzo Reich». Mentre il prefisso “neo” «serve proprio a indicare che una persona viene da un nucleo originario da cui poi si è evoluta».


Nell’animo

Canfora spiega anche che «nell’animo» è «una citazione da Tocqueville, che ammette che il suo animo è contrario alla democrazia, riferendosi a una parte di sé interiore non predominante. Tutti abbiamo delle pulsioni più o meno confessabili, che dominiamo con la ragione». E se a lui dessero dello “stalinista nell’animo” ne sarebbe «contentissimo, perché lo sono, mentre altri pensano che sia un insulto. In Inghilterra fino a un secolo fa “democratico” era una parolaccia, perché significava “rivoluzionario”. Insomma, i tempi evolvono». Il filosofo nota anche che Meloni, che fatica a definirsi antifascista, «è passata in pochi anni da una posizione filorussa ad una filoucraina. All’interno delle forze ucraine c’erano anche componenti neonaziste. La mia definizione in un convegno voleva fare riferimento anche a questo aspetto».


Ripetere, ripetere, ripetere

Canfora dice di non essere dispiaciuto per la querela. E che ripete quella frase «continuamente. Mi lasci dire che ho simpatia per le sue domande, ma quando sono così a grappolo e a carattere tribunalizio mi lasciano un po’ perplesso». Lo farebbe ancora, «anche se tra un po’ dovrò fare penitenza temo». E aggiunge che «l’azione del suo governo, come di tutti, è predeterminata dalla Nato e dall’Ue. I caratteri fondamentali della premier sono dunque atlantismo, europeismo linea Von der Leyen e il poco che resta lotta ai migranti stile decreto Cutro». Quindi come la definisce? «È un grosso problema di pensiero politico. Nel suo libro lei si definisce vicina a Vox. L’orizzonte sembra quello, poi c’è stato qualche ritocco nel libro con Sallusti. Se fossi un umorista direi vociana, nel senso di Prezzolini ma anche pensando a Vox più che a Orbán».

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