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«Guerra nucleare, rischio mondiale». L’allarme di Rafael Grossi (Aiea): «Con 20-25 Paesi atomici pianeta ingovernabile»

07 Settembre 2025 - 09:55 Simone Disegni
Il direttore dell'agenzia Onu ricevuto da Papa Leone XIV denuncia i rischi crescenti di un mondo in cui l'atomica non è più tabù: «Anzi ora tutti le vogliono»

Il rischio di una guerra nucleare oggi è più alto che mai. Lo dice in un’intervista a Repubblica il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Rafael Grossi. «Senza voler diffondere il panico, purtroppo, rispondo di sì», ammette Grossi al taccuino di Fabio Tonacci. Portando a riprova della sua tesi tre argomenti essenziali. Primo, il processo di disarmo o riduzione controllata degli arsenali nucleari si è interrotto, e dunque «chi ha armi atomiche ne produce di più, Cina inclusa». Secondo, le armi nucleari hanno smesso di essere un tabù per molti leader mondiali. «Sento parlare con disinvoltura di attacchi nucleari tattici, un segnale negativo». Terzo elemento, strettamente connesso al secondo, chi di quegli strumenti di distruzione non dispone smania per averli. «Ci sono Paesi che non hanno l’atomica i cui governanti cominciano a dire, pubblicamente, che è il caso di dotarsi di ordigni nucleari». Quali? Grossi si rifiuta di indicarli esplicitamente in virtù del suo ruolo istituzionale ma parla di «Paesi importanti, in Asia, in Asia Minore e nel Golfo Persico». Il mese scorso, in occasione dell’80esimo anniversario dei bombardamenti nucleari su Hiroshima e Nagasaki, fu il sopravvissuto e studiosi dei danni delle armi atomiche Masao Tomonaga a denunciare a Open come proprio il Giappone sia oggi uno dei Paesi tentati dall’intraprendere quella strada. «Un mondo con 20-25 Stati provvisti di bomba atomica è imprevedibile e pericoloso», ammonisce oggi il direttore dell’Aiea con Repubblica.

Il presidente Usa Donald Trump segue dalla Situation Room i bombardamenti Usa sugli impianti nucleari iraniani di Fordow, Natanz and Esfahan – Washington, 21 giugno 2025 (Ansa/Epa/Casa Bianca)

Il dialogo col Papa e le minacce di morte

Grossi, che guida l’Agenzia con sede a Vienna dal 2019, dice di aver parlato del tema due giorni fa in Vaticano con Papa Leone XIV, e di aver condiviso le stesse pressanti preoccupazioni. «Il pontefice è consapevole che in questo momento evitare la guerra è la priorità assoluta. Parlare con lui è essenziale, sono cattolico e lui un grande leader spirituale. Anche se nel cuore rimane il mio amico Bergoglio», riferisce l’ex diplomatico di carriera argentino. Che per la sua missione diplomatica delicatissima paga da qualche tempo un costo personale pesante: è finito sotto scorta a seguito di «minacce credibili» alla sua sicurezza. Di matrice iraniana, gli chiede Tonacci? «Non posso fornire dettagli, ma si può pensare», risponde acrobatico Grossi. Che sull’Iran, d’altronde, ha sempre giocato la partita forse più delicata dell’intero mandato dell’Aiea.

Rafael Grossi in udienza dall’«amico» e connazionale Papa Francesco – Vaticano, 12 gennaio 2023 (Ansa/Epa/Vatican Media)

Cosa resta del nucleare in Iran?

Cosa ne sia esattamente del programma nucleare di Teheran dopo la guerra dei 12 giorni con Israele ed i maxi-bombardamenti Usa di giugno resta un dilemma. In parte anche per lo stesso Grossi. «C’è accordo nel ritenere che il grado di danneggiamento sia importante, lo dimostrano le immagini satellitari. Ma i miei ispettori non hanno constatato di persona». Il direttore dell’Aiea spiega infatti che dopo la guerra i funzionari dell’ente Onu hanno avuto accesso per ora soltanto alla centrale nucleare commerciale di Bushehr, nel sud del Paese. «Non abbiamo ancora avuto accesso ai siti colpiti né ai 400 chili di uranio arricchito al 60 per cento. La comunità internazionale è giustamente preoccupata». Si è detto che le autorità iraniane, consapevoli della possibilità che Donald Trump colpisse i siti nucleari con le “super-bombe” Usa, avrebbero spostato grandi quantità di uranio arricchito in luogo segreto prima dell’attacco americano. Le prove, anche in questo caso, mancano. Grossi però pensa sia andata proprio così. A Tonacci dice di credere che quel materiale sia finito negli impianti di Isfahan e Natanz. «Ma dobbiamo verificare, da giugno siamo praticamente ciechi». A Isfahan, dentro la montagna, Grossi crede si trovi pure un altro maxi-laboratorio: «forse è un’installazione per l’arricchimento dell’uranio. Eravamo stati autorizzati a visitarlo, ma il giorno dell’ispezione sono cominciati i raid di Israele». Resta il fatto, se non altro, che non vi sono segnali che Teheran abbia riavviato il programma nucleare dopo i raid Usa-Israele.

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Immagini satellitari dell’area di Fordow dopo il bombardamento Usa “anti-bunker” di giugno

La centrale a rischio di Zaporizhzhia e il dilemma Israele

Iran a parte, le armi nucleari restano sullo sfondo pure dei due conflitti che ormai da anni più dilaniano il pianeta e le coscienze: quello tra Russia e Ucraina e quello tra israeliani e palestinesi. Nel primo caso il luogo più allarmante resta la centrale di Zaporizhzhia, in una delle regioni dove continuano a infuriare i combattimenti sul campo tra forze di Mosca e Kiev. «Continua a essere un luogo ad alta tensione e pericoloso. L’impianto non è operativo, attive solo le funzioni di sicurezza. Ogni giorno i miei ispettori registrano nella zona colpi di artiglieria, proiettili che vanno da una parte all’altra, droni», riferisce Grossi. Che dice di non essere a conoscenza di significativi passi diplomatici tra Russia e Stati Uniti per garantire la sicurezza della centrale. Quanto a Israele, il tema del nucleare resta tabù. «C’è consenso generale nel ritenere che abbia già l’arma atomica», ma lo Stato ebraico, che non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione, «ha una politica di opacità, non comunica».

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