Gettò acido sul volto dell’ex compagna, ma per il giudice non voleva sfregiarla: «Lei si poteva sciacquare»

Gettò due flaconi di acido muriatico sul volto della ex compagna, aggredendola all’interno del negozio da parrucchiera di proprietà della donna a Verbania, in Piemonte. Ma per il giudice non si trattò di un «tentativo di deformazione o sfregio permanente». È ciò che si legge nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 12 novembre, con condanna a tre anni per l’uomo, un 64enne, che il 28 dicembre dello scorso anno aggredì la sua ex. Per il tribunale, il liquido utilizzato – contenente acido cloridrico al 6,5% – era «inidoneo a provocare in concreto» il danno, perché nel salone dove lavorava la donna era «possibile risciacquare immediatamente la cute colpita senza attendere i circa 15 minuti necessari per la cristallizzazione della lesione».
Le motivazioni della sentenza e la decisione del tribunale
La donna – si legge ancora nelle motivazioni – «sebbene attinta dal liquido sui capelli, sul collo e sul viso, anche grazie all’immediato abbondante risciacquo (…) non ha riportato danni cicatriziali o profondi sull’epidermide», scrive il gup. Per il giudice questo «porta a un diverso inquadramento giuridico» del fatto, collocando l’accaduto «al di fuori dei confini» del reato di tentata deformazione dell’aspetto, benché «in nulla si indulga rispetto alla gravità della condotta delittuosa» dell’uomo.
L’imputato, che attualmente si trova ai domiciliari, è stato infatti condannato a tre anni, la stessa pena richiesta dal pubblico ministero, ma con la riqualificazione dei capi d’imputazione. Il gup aveva riconosciuto le tentate lesioni gravissime, anziché la tentata deformazione dell’aspetto, così come le minacce, anziché lo stalking. Nei giorni precedenti all’aggressione aveva inviato una serie di messaggi alla donna, tra cui «quegli occhi potrebbero non vedere più», «l’acido brucia bene», «quindi d’ora in poi guardati le spalle! E se vai dai carabinieri per te è finita».
La parole della difesa della donna
Per il difensore della donna, l’avvocato Mario Di Primo, la pena non è «particolarmente severa» come «dovrebbe essere in contesti di violenza di genere». Secondo il legale, infatti, «nella stragrande maggioranza dei casi chi aggredisce ha bisogno di tempo per riflettere su quanto ha fatto e ha bisogno di tempo non solo per espiare, ma per capire, per imboccare la strada della rieducazione». Di Primo fa inoltre sapere che «è già stata presentata un’istanza affinché l’uomo abbia il permesso di recarsi al lavoro in una zona distante pochi chilometri dall’abitazione delle mia assistita. E ovviamente – aggiunge – siamo contrarissimi, perché non è stato ancora espresso un chiaro giudizio circa la sua attuale pericolosità sociale. Speriamo non sia un’altra cronaca di una morte annunciata».
