Vasco Rossi e il bullismo da piccolo «fisico e psicologico». Quando fu cacciato da scuola e le canzoni «che io stesso capisco molto tempo dopo»

Da Zocca è partito per diventare Vasco Rossi, a Zocca il rocker torna per mettere in piedi un corso di teatro sperimentale per dare quell’occasione di «uscire dal bozzolo» negata al giovanissimo Vasco. In una lunga intervista a Luca Valtorta per Repubblica, Vasco Rossi racconta la sua idea messa in pratica dalla vicesindaca del paese in cui ancora torna per le feste. Un progetto «non tanto per imparare a recitare o diventare attore – dice il cantante – Quello che facciamo è più bello e nasce da un’esperienza che è stata molto importante per me». I ricordi vanno inevitabilmente all’infanzia a scuola, alle prime esperienze con il teatro scolastico e poi sperimentale. Ricordi di un bambino bullizzato «da un punto di vista fisico e psicologico».
I primi passi con il teatro sperimentale
Vasco Rossi ricorda quella volta in cui si doveva organizzare la recita di Natale a scuola. L’insegnante però aveva affidato il tutto a un tale Alvarez che invita gli studenti attori a casa sua e dice loro: «Urla!». Uno alla volta, vengono tutti scartati. Arriva il turno di Vasco che lancia un urlo fortissimo: «Sono rimasti tutti a bocca aperta». Da quel momento è iniziata la sua piccola passione per il teatro sperimentale: «Prima inventavamo le cose da dire, i testi. Il primo spettacolo eravamo tutti al buio: uno accendeva la pila e la puntava sull’altro che faceva il suo monologo. Parte uno: “Che fai tu Giuda Iscariota che pendi dall’albero? Sei vivo? Il tuo favoloso sogno di ascesa, ti rende più umano del più umano di noi”. Erano gli anni Settanta: c’era tutto un mondo che si apriva davanti a noi…».
Vasco e il suo «bozzolo della mia solitudine amara»
Uno dei testi scritti all’epoca dal rocker è ancora vivo nella sua memoria: «Sì, l’ho sempre tenuto in mente. Avevo scritto: “Mi sono fatto un bozzolo della mia solitudine amara, un bozzolo d’oro e di cristallo. Per starci bene. E di liquido fetale mi circondo … galleggio… e respiro delle mie branchie diventate di amarezza folle e sublime”. La cosa incredibile è che dopo quarant’anni e più io mi sono sentito proprio così». Vasco spiega che quella non era stata tanto una visione, ma una sensazione che solo dopo è diventata consapevole. Così come accaduto a tanti suoi testi: «Molte delle canzoni che ho composto le ho capite molto tempo dopo. Quando si scrive si è in viaggio in un mondo diverso dalla razionalità, per cui vengono fuori delle cose particolari. Ho quasi sempre scritto pensieri che dopo si sono avverati».
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Il bullismo subito da Vasco Rossi
«Io da piccolo ero stato bullizzato dal punto di vista fisico, come succedeva a tutti quelli più piccoli per taglia e per età, perché io avevo fatto la primina – ricorda Vasco – E poi anche dal punto di vista psicologico quando sono andato a studiare a Modena, che per me era una città perché io venivo dai monti. E negli anni Sessanta, quando dicevi che venivi da Zocca, la gente ti guardava male, ci si vergognava quasi. Era una cosa che non si diceva volentieri, perché ti sentivi come se fossi di serie B».
La cacciata da scuola
Il bozzolo nella vita di Vasco Rossi è tornato presto. Per esempio quando andava a scuola ed è stato espulso: «Andavo al Collegio dei Salesiani e lì mi sono chiuso completamente, proprio come in un bozzolo: non ho mai comunicato con nessuno per tutto il tempo o quasi. A quei tempi nei collegi c’erano orari precisi per tutto, era molto rigido. Alla fine sono stato proprio buttato fuori. Avevo solo due amici, uno era anche lui di Zocca e avevamo combinato un guaio: compravamo quelle riviste porno che si trovavano ai tempi e poi le attaccavamo come manifesti sui muri del collegio, in alto, nei posti più visibili con la scritta: “Kazzik colpisce ancora”. Fecero un’ispezione e trovarono uno scritto nel foglio del mio amico Moreno Diamanti dove c’era anche la mia calligrafia. Lui fu cacciato immediatamente: era tutto contento. Il giorno dopo dissero anche a me: “Devi andare a prendere il materasso perché ti hanno buttato fuori anche te”. Pensa che allora i materassi ce li dovevamo portare noi da casa!».
