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Intesa con la Cina, i 4 punti su cui Salvini e Di Maio proprio non si accordano

24 Marzo 2019 - 12:01 Chiara Piselli
Conclusa la visita di Xi Jinping in Italia, i due vicepremier hanno qualche ragione in più per essere su posizioni distanti dopo la firma del memorandum d'intesa sulla via della nuova seta

Visioni differenti e poca intenzione di cercare il compromesso. A meno che non siano alle strette. Continuano ad alzarsi muri di incomprensione e ostilità tra i due vicepremier alleati – più formalmente che in sostanza – di governo. Perplessità manifeste sull’altrui agire, posizioni di rado condivise che si concretizzano in climax di tensione che culminano in battibecchi e frecciate a distanza, come nei matrimoni stanchi. Anche in questi giorni in cui la visita in Italia di Xi Jinping ha catalizzato l’attenzione politica e mediatica, si è ripetuta la stessa scena. Di sicuro, la firma dell’Italia sugli accordi con la Cina – che valgono «2,5 miliardi, con un potenziale di 20 miliardi» – non è piaciuta a Matteo Salvini.

Il made in Italy e la sicurezza nazionale

Il gelo del leader leghista nei confronti dell’alleato 5 Stelle arriva al suo apice quando Luigi Di Maio gioisce per i risultati raggiunti sul made in Italy una volta sottoscritto il memorandum sulla cosiddetta via della seta. «Oggi è il giorno in cui vince il made in Italy, Salvini ha diritto di parola ma io porto i fatti». La frecciata del ministro dello Sviluppo economico viene subito raccolta dal titolare del Viminale che non perde l’occasione per manifestare le sue perplessità riguardo alla firma e a rimarcare quelli che, secondo lui, sono i limiti dell’accordo: «Andiamoci cauti perché in ballo c’è la sicurezza nazionale – dice Salvini – c’è il trattamento dei dati sensibili, sanitari e telefonici». Subito arriva il paciere a smorzare gli animi e a cercare la sintesi tra le parti: «Nessun pericolo sicurezza, ma solo ricadute positive per il sistema Italia», dice e ridice il premier Giuseppe Conte.

Il ruolo di Conte

E proprio il ruolo di Giuseppe Conte potrebbe simboleggiare un nuovo terreno di scontro tra i due alleati di governo. Non più palla tra due fuochi, il premier negli ultimi tempi si è avvicinato più di una volta alle posizioni dei Cinque Stelle. Lo ha fatto, per esempio, sul caso dei migranti a bordo della Sea Watch, quando ha sfidato il leader leghista: «Se Salvini non li fa sbarcare vado a prenderli io stesso in aereo», aveva detto. O, ancora, lo ha fatto quando ha pregato la stampa di non occuparsi solo della Torino-Lione, che aveva monopolizzato il dibattito pubblico su insistenza del vicepremier leghista e per via delle scadenze dei bandi Telt. «Non esiste solo la Tav, ci sono tanti altri cantieri fermi», aveva detto il premier imponendo in questo modo lo sblocca-cantieri nell’agenda setting. «Che Conte fosse più vicino ai 5 Stelle lo sapevamo – sostiene Salvini -. Era nella loro squadra di governo, quindi va benissimo così. Non ho gelosie».

L’Italia first sul modello Trump

Luigi Di Maio prende in prestito il motto di Donald Trump dell’America First trasponendolo ai confini nazionali, ma Matteo Salvini è perplesso. E non manca di manifestarlo: «Non mi dite che a Pechino c’è il libero mercato», polemizza il vicepremier leghista. La firma «storica» – che Di Maio dedica agli imprenditori italiani, di solito parterre leghista – fa dell’Italia il primo paese del G7 a entrare nella via della seta. «Italia first – dice Di Maio sul modello Trump -, è ovvio che gli altri Paesi siano un po’ critici perché l’Italia è arrivata prima». Salvini resta fermo sulla sua posizione scettica e mette in discussione l’equità tra le parti dell’accordo: «Va bene la visita del presidente, ma ci vuole parità di condizioni tra i due Paesi». L’obiettivo dell’intesa è «chiaro» stando alle parole di Di Maio che parla proprio di sproporzioni: «Bisogna cominciare a riequilibrare la bilancia commerciale perché c’è troppo made in China in Italia e poco made in Italy che va in Cina».

La critica di Salvini all’economia di Pechino

Il progetto «di connettività euroasiatica» non convince affatto Matteo Salvini che nel memorandum sulla belt and road vede, più che un futuro protagonismo dell’Italia negli scenari internazionali, un potenziale rischio di egemonia cinese sui mercati e una minaccia più generale alla sicurezza dello Stato. Nonostante il principi di reciprocità, trasparenza, inclusività, sostenibilità fiscale e ambientale presenti nel testo dell’intesa, Salvini non si fida. «Non mi si venga a raccontare che in Cina ci sia il libero mercato – insiste Salvini -, non mi si dica che lo Stato non interviene nell’economia e nell’informazione».

Gli altri temi della discordia

Quello della firma del memorandum d’intesa sulla via della nuova seta non è che l’ultima questione spinosa che vede i due vicepremier assumere posizioni diverse e distanti. La politica sui migranti, il modello di famiglia tradizionale e la riforma sulle autonomie sono altri nodi su cui il governo si è incagliato. Ma la spaccatura più grande degli ultimi mesi – e per ora insanabile – è rappresentata dal blocco dell’alta velocità Torino-Lione. Se per Salvini è necessario andare avanti con la realizzazione dell’opera per fare dell’Italia un Paese competitivo a livello europeo, per i Cinque Stelle le priorità sono altre, come la manutenzione delle vecchie opere e altri cantieri lasciati in standby.

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