Trattativa sul programma, il dossier sulla scrivania di Conte: su cosa Pd e M5s rischiano ancora di litigare

Su una cosa, grillini e dem sono certamente d’accordo: i 35 punti totali composti dai programmi messi sul piatto non sono, per il momento, che titoli e buoni propositi

Poltrone e contenuti: il grande tormentone dell’estate, destinato prima o poi a finire (più prima che poi, dati i tempi stretti richiesti da un preoccupato presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) è fatto di questo binomio.


E se sulle poltrone (negate) il banco è aperto e ancora, in parte, da giocare, sui contenuti si intravede un chiaroscuro di vicinanza teorica minacciata da lontananze pratiche che potrebbero mettersi di traverso in un matrimonio di governo – quello tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico – che solo fino a meno di un mese fa sarebbe stato impensabile. 


20 punti (dagli iniziali 10) compongono il programma per il Movimento 5 Stelle. 15 sono invece quelli dettati dalla delegazione democratica. Su una cosa, grillini e dem sono certamente d’accordo: i 35 punti totali composti dai programmi messi sul piatto non sono, per il momento, che titoli e buoni propositi.

Generici, inclusivi, tutti da sviluppare. È sulla messa alla prova che il cardiopalma sarà – se mai davvero questo governo dovesse davvero nascere – all’ordine del giorno. 

Di Europa i grillini non parlano, e chiedono anzi lo scomputo degli investimenti in deficit ai criteri di Maastricht, più vicini così agli ex alleati leghisti che ai dem, che da «più Europa» invece farebbero partire tutto il loro programma.

E mentre sulle banche, vecchio dente dolente nel rapporto tra Pd e5S, la sintesi si conferma lontana, si concorda su una legge sul conflitto di interessi (già, ma come?). Ci si incontra sulla riforma del servizio radiotelevisivo.

Si parla da entrambe le parti di riforma di quel Consiglio superiore della magistratura affossato da scandali e inchieste, e di riforma della giustizia: per i 5 Stelle la via è quella dell’impianto dell’attuale ministro Alfonso Bonafede. Chissà se il Pd potrà convergere. 

Si concorda persino, e con le stesse identiche parole nei due programmi, sul prosieguo della riforma sull’autonomia differenziata. «Nell’ambito della solidarietà nazionale». Amen.  

L’immigrazione

Questo l’antipasto. Ma ci sono temi su cui le cose si complicano o sono destinate a farlo. Allo stato attuale della trattativa i dem possono ritenersi soddisfatti per l’apertura – da parte del premier incaricato Giuseppe Conte – a una nuova legge sull’immigrazione, oltre a taglio delle tasse e sblocco dei cantieri

Sull’immigrazione, tormentone del governo gialloverde in barba a invasioni inesistenti, entrambi i nuovi Promessi sposi, Pd e 5S, concordano: una riforma necessaria e non più procrastinabile è quella del Regolamento di Dublino, del meccanismo del Paese di primo ingresso in Europa, della gestione dei flussi migratori, della distribuzione delle persone in Europa. 
E poi? C’è l’idea di un superamento della Bossi-Fini a livello nazionale? E come la mettiamo con il soccorso in mare e gli sbarchi?

Nicola Zingaretti decide di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e chiedere lo sbarco dei 34 migranti ancora a bordo della Mare Jonio (colpevoli di non essere sufficientemente fragili da scendere come i 64 – compresi i bambini – che sono stati già evacuati dalla Guardia Costiera italiana) e viene ritwittato dal suo compagno di partito-nemico interno Matteo Renzi (lo stesso che sul caso Open Arms aveva scomodato il Vangelo nella sua arringa in aula a Palazzo Madama). 

Nel frattempo i promessi sposi del Movimento 5 Stelle continuano, di fatto, ad andare in direzione opposta. Controfirmando, per mano della ministra Elisabetta Trenta e del titolare delle Infrastrutture Danilo Toninelli, l’ennesimo divieto di ingresso in acque italiane per la Alan Kurdi e le sue 13 persone – 8 minori – salvati nel Mediterraneo centrale.

In applicazione al decreto sicurezza bis voluto da Matteo Salvini e votato con la fiducia dai pentastellati. Applicano la legge, ed è una legge ora al centro della trattativa, il simulacro che il Pd deve combattere per rimarcare la distanza dal sovranismo e la durezza salviniana.

Mentre per Luigi Di Maio restano agli atti le parole al vetriolo di due giorni fa – «Non rinneghiamo niente di questi 14 mesi di governo» (niente, neanche queste leggi) – e, andando indietro con la memoria, quelle altre parole dedicate alle ong che si occupano di ricerca e soccorso e non corroborate da una singola inchiesta: «taxi del mare». 

Contraddizione ancora palese e lontana, tanto che Matteo Salvini non manca di cogliere la palla al balzo: «Se il Pd vuole riaprire i porti e far ricominciare il business dell’immigrazione clandestina, lo dica agli italiani», fa sapere oggi attraverso l’ufficio stampa del ministero dell’Interno, puntando sulla solita equazione priva invece – dicono i numeri – di collegamento immediato.

E i 5 Stelle restano nel mezzo: non si rinnega nulla, neanche i decreti sicurezza, ma il Capo dello Stato ha inviato lettere e rilievi precisi sui punti critici di quelle due leggi, e da lì anche i grillini potranno ripartire. 

Il taglio dei parlamentari

Sulla questione, a livello puramente generico, 5 Stelle e Pd affermano (ora) di concordare. Al disegno di legge costituzionale mancherebbe un ultimo voto («solo due ore di lavoro», ama ripetere il capo politico dei 5 Stelle Di Maio) a Montecitorio. Poi potrebbe essere sottoposto al vaglio di eventuale referendum confermativo. 

In aula il Pd, insieme alle altre forze di centrosinistra, aveva votato contro. E ora? «Taglio del numero dei parlamentari da approvare nel primo calendario della Camera alla ripresa dei lavori», si legge al punto 1 del vademecum grillino.

«Nel primo calendario della Camera: la riduzione dei parlamentari», parafrasano i dem al punto 7 del loro programma sottoposto al premier incaricato Giuseppe Conte.

Il Pd però, nella trattativa, aggiunge un passaggio: ok, ma «purché si avvii contestualmente un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali, di efficientamento istituzionale e di rappresentanza democratica, garantendo il pluralismo politico e territoriale».

Traduzione: ridisegno dei collegi e proporzionale pura. Passaggi che, ricordava agli albori della crisi di governo Francesco Clementi, docente di diritto comparato all’università di Perugia, hanno i loro tempi: «Bisogna rifare i collegi (2-3 mesi) e celebrare l’eventuale referendum (3 mesi). Tempi necessari? Almeno fino ad aprile-giugno 2020»

L’ambiente

E ancora: se per esempio l’acqua pubblica «bene comune» resta una stella – un po’ spenta e tanto bistrattata – delle cinque del Movimento, il Pd di fatto in parlamento osteggia una eventuale riforma che possa riconfermare i disattesi esiti dei Referendum del 2011. 

Pd e 5 Stelle affermano, entrambi, di voler dare nuova vita alla lotta dalla parte dell’ambiente. I grillini con assai più dettagli di quelli forniti dai dem: invocano esplicitamente lo stop alle trivellazioni e a nuovi inceneritori. 

Sulla questione trivelle, per esempio, si ricorderà che al referendum sulle trivellazioni del 2016 – gli elettori erano stati chiamati a decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti esistenti entro le 12 miglia dalla costa italiana – la posizione ufficiale (come di consueto, tormentata) del Partito Democratico era stata per l’astensione, mentre il Movimento 5 Stelle aveva fatto campagna per il sì.

Risultato: nonostante la netta preponderanza dei suffragi favorevoli all’abrogazione della norma, il referendum non raggiunse il quorum. Come auspicava Matteo Renzi. 

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