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Toto-sottosegretari: nella partita fra Pd e M5S anche un accordo per le regionali e la blindatura del Senato

10 Settembre 2019 - 06:03 Alessandro Parodi
Nel rebus da sciogliere non solo una lista di nomi da assegnare ai ministeri pesando la forza degli alleati di governo

Il governo giallorosso è partito. Dopo il giuramento del premier e dei ministri e il via libera ottenuto dalla Camera il Conte 2 dovrà ora affrontare lo scoglio della fiducia al Senato può contare su una maggioranza più risicata.

In questa partita, decisiva oggi e in prospettiva per la vita del governo, potrebbero giocare un ruolo due scelte che le forze politiche dovranno affrontare nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Decisioni, inoltre, che si intrecciano fra loro: le nomine dei sottosegretari e le alleanza in vista delle elezioni regionali.

Il toto-sottosegretari

Dopo la fiducia al Senato, che dovrebbe arrivare al netto di imprevedibili sorprese, il governo tenterà un’accelerazione sui sottosegretari e i viceministri. Giovedì ci sarà un Consiglio dei ministri, ma non è da escludere che il nodo del completamento della squadra di governo venga sciolto in una riunione successiva dell’esecutivo.

Al momento a portare avanti le trattative ci sono soprattutto il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini per il Pd e il Ministro per le politiche giovanili e lo sport Vincenzo Spadafora per il M5S.

Per prima cosa il premier Conte vorrebbe conservare per sé la delega dei Servizi e promuovere sottosegretario il segretario generale di palazzo Chigi, Roberto Chieppa. Il Partito democratico sembra non voler cedere sulla delega all’editoria: favorito il dem Walter Verini. Sono soprattutto i 5 Stelle, forse a sorpresa, a voler chiedere discontinuità nelle nomine rispetto al governo gialloverde.

L’obiettivo sembra essere quello di chiudere entro mercoledì sera la lista, ma le tensioni interne ai due partiti di governo potrebbero determinare uno slittamento. Come si accennava non si tratta soltanto di calibrare il peso delle forze di governo e di trasferirlo in una lista di nomi da assegnare ai ministeri, ma anche, guardando in prospettiva, di costruire una sorta di garanzia sul futuro del governo.

Blindare il Senato

Pd e M5S, infatti, si sarebbero trovati d’accordo sull’opportunità si scegliere diversi sottosegretari fra i senatori, in modo da “legarli” in qualche modo alla sopravvivenza dell’esecutivo. Il ragionamento in sostanza è questo: un senatore che ricopre un ruolo prestigioso come quello di sottosegretario, più difficilmente sfiducerà il governo.

Tra i vice ministri in pool position ci sono sempre i nomi di D’Uva (Cultura), Buffagni e Castelli (Mit e Mef), ma rimangono delle resistenze, soprattutto nell’ala ortodossa del Movimento che, come detto, punta alla totale discontinuità.

Per il Pd l’assessore allo Sviluppo economico della regione Lazio Manzella potrebbe diventare viceministro al Mise. I dem, d’altro canto, sembrano scettici sul possibile spostamento delle deleghe del commercio estero al ministero della Farnesina, nelle mani quindi di Luigi Di Maio.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Agi, i big democratici spiegano che «in ogni caso la partita è ancora in alto mare». I renziani, a cui un po’ tutti guardano per le voci di un Matteo Renzi intenzionato a staccare la spina al governo dopo aver lanciato il suo partito, puntano su 7-8 sottosegretari.

Per il Senato si fanno i nomi di Malpezzi, D’Alfonso e Margiotta, mentre per la Camera quelli di Fiano (vice ministro all’Interno) e Ascani (all’Istruzione). Potrebbero essere promossi, sempre in quota dem, anche Sereni, Quartapelle, Mauri, Braga, Romano. Al ministero dell’Economia dovrebbe arrivare Antonio Misiani, sempre nel ruolo di vice ministro.

L’accordo sulle regionali

Da più parti non si esclude che in fase di contrattazione per la nascita del governo si sia parlato di future alleanze per le elezioni regionali. L’ingegner Carlo De Benedetti, ospite ieri sera di Ottoemezzo di Lilli Gruber, si è spinto a dichiarare: «Se il Pd non l’avesse fatto (un accordo con il M5S per le regionali, ndr) sarebbero pazzi».

Lo scenario che si suggerisce è quello di un M5S che dovrebbe sostenere il candidato del Pd in Umbria, mentre i dem potrebbero appoggiare un esponente M5S in Calabria.

Un’idea che viene accreditata da fonti parlamentari, riferisce sempre Agi, è che in Calabria si possa presentare l’attuale presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, che in molti davano già per certo ministro: che non abbia conquistato un dicastero nell’esecutivo giallorosso sembra il segnale che sia un nome spendibile per altro, importante, ruolo.

«Sulle regionali il dialogo è difficile, ma ci stiamo provando», spiegano fonti del M5S e del Partito democratico. Il pentastellato Di Stefano frena «Assolutamente no», ha sottolineato. Ma dal Movimento 5 stelle si accredita la tesi che potrebbe essere lo stesso premier Conte a spingere in questa direzione, per rendere più facile anche la navigazione del suo governo.

Infine ci sono le nomine agli organismi di garanzia. Il dem Antonello Giacomelli è accreditato per la guida dell’Agcom, mentre la guida della Privacy sarebbe destinata al M5s. Il confronto tra M5s e Pd però inizierà soprattutto con la conferenza dei capigruppo fissata per mercoledì a Montecitorio.

Il Movimento 5 stelle vuole mettere in calendario il taglio del numero dei parlamentari. Sulla legge elettorale proporzionale pare non ci siano ostacoli: a venire cancellati sarebbero proprio i seggi scelti con l’uninominale. Ma il Pd vuole che arrivi in Commissione il testo della riforma elettorale prima di dare il via libera al provvedimento caro ai pentastellati.

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