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Richetti, l’addio al Pd dopo l’attacco al governo Conte: «Ha firmato provvedimenti vergognosi». Il segnale per Calenda

10 Settembre 2019 - 19:55 Alessandro Parodi
Per il senatore, ormai già ex dem, è mancata la discontinuità rispetto al governo gialloverde, soprattutto sul nome del presidente del Consiglio

Le dichiarazioni di voto in dissenso ai gruppi parlamentari sulla fiducia al nascente governo giallorosso (che poi ha avuto il via libera dell’Aula con 169 sì) hanno visto alzarsi le voci contrarie di due senatori di spicco del M5s e del Partito Democratico, che hanno deciso entrambi di astenersi. Oltre a Gianluigi Paragone, che ha focalizzato le sue critiche sul rapporto del nuovo esecutivo con la Ue, anche Matteo Richetti è stato molto critico nei confronti del Conte 2. Dopo la dichiarazioni dell’astensione in Aula, Righetti, in diretta allo speciale del Tgla7 di Enrico Mentana, ha annunciato che ora passerà al gruppo misto e che lascerà il Pd. Il senatore dem ha chiarito inoltre di sentirsi vicino alle posizioni dell’europarlamentare Carlo Calenda che, anch’egli, ha abbandonato il Partito Democratico dopo la concretizzazione dell’alleanza con il M5S. Nel suo intervento molto duro in Senato Matteo Righetti aveva esordito il modo chiaro: «Presidente Conte, lei al termine di questa seduta sarà anche il mio presidente del Consiglio ma non avrà la mia fiducia. Per coerenza con i valori della mia militanza – aveva aggiunto – non posso votare per un governo nato per convenienze e con ambiguità».

Richetti ha criticato in particolare la scelta delle forze politiche della nuova maggioranza di mettere a capo dell’esecutivo lo stesso premier del governo gialloverde: «Lei – ha attaccato – signor presidente, ha posto la sua firma in calce a provvedimenti vergognosi», come «i decreti sicurezza, condoni, la chiusura dei porti». Anche il discorso pronunciato il Aula al Senato contro Salvini il 20 agosto, per Richetti, non ha cambiato la situazione: «quelle cose le doveva denunciare prima della mozione di sfiducia della Lega, non dopo». «Se Salvini non avesse presentato quella sfiducia – non ha fatto sconti Richetti – lei sarebbe ancora il suo presidente del Consiglio». Quindi per l’ormai ex senatore democratico «occorreva coraggio e non cinismo», perché «con una fase nuova occorreva un premier nuovo, una persona nuova alla Farnesina».

Inoltre è difficile comprendere l’alleanza tra Pd e M5s, «due forze accomunate da una sola cosa, quella di aver sempre detto “mai l’uno insieme all’altro”». Di qui l’astensione con l’impegno a un atteggiamento «costruttivo» sui provvedimenti che lo meritano. I senatori della Lega hanno applaudito, unici, l’intervento del senatore Pd. Ad ascoltare Richetti, quasi tutti i colleghi Dem, molti in piedi e girati verso di lui a guardarlo. Un applauso caloroso dei leghisti è partito quando il senatore ha detto: «Non mi fido dell’abilità dell’avvocato del popolo».

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