L’Imam di Milano si schiera al fianco della Cei: «Scriverò al premier. Noi ignorati, sia un’occasione per aprire al pluralismo religioso» – L’intervista

Anche la comunità musulmana vorrebbe riprendere nel mese del Ramadan. E nella lettera indirizzata al premier ci sono alcune indicazioni sulla Fase 2

Al dispiacere di non poter riprendere l’attività religiosa, si somma lo smacco di non essere stati interpellati dal Governo né prima né dopo l’annuncio del nuovo decreto, che ha predisposto la continuazione della chiusura dei luoghi di culto. A dirlo è l’Imam di Milano e presidente della Coreis italiana, Yahya Pallavicini, che racconta a Open di aver intenzione di scrivere a Giuseppe Conte non solo per condividere il dispiacere della comunità islamica per la mancata apertura, ma anche per avviare un dialogo sulle misure precauzionali per la ripresa della vita religiosa in tempo per la fine del Ramadan.


Imam Yahya Pallavicini, come commenta l’annuncio del presidente Conte?


«Condivido la sorpresa negativa della Cei. A questa stessa sorpresa negativa, che è condivisa dalla comunità islamica, aggiungerei però una differenza: noi non siamo stati presi in considerazione dalla sensibilità istituzionale, nel senso di non essere stati contattati o invitati a una concertazione. Non so neanche se siano stati contattati gli ebrei, i protestanti, gli ortodossi, i buddisti, gli indù. Ne dubito, ma parlo solo per la mia giurisdizione. Sarebbe stato giusto, credo, con una prospettiva di rappresentanza istituzionale della laicità dello Stato e del diritto della libertà religiosa, considerare veramente il pluralismo religioso come valore aggiunto, coinvolgendo quindi anche i musulmani come cittadini italiani e quindi come aventi diritto a praticare il loro culto».

Non siete mai stati interpellati dal Governo dall’inizio del lockdown ad oggi?

«No, in maniera informale la Coreis ha ricevuto comunicazioni dalle prefetture che ci hanno trasmesso copia dei vari decreti. Quindi era un invito alla lettura ma non alla concertazione. La nostra moschea a Milano è stata forse la prima a chiudere. Adesso in questa seconda fase, aprono – e sono contento – cartolerie e una serie di altre attività. Che non venga neanche menzionata la sensibilità per cittadini e credenti, compresi quelli musulmani, mi sembra francamente una mancanza di sensibilità rilevante».

Secondo lei, come mai non siete stati contattati?

«Non lo so per certo, quello che posso immaginare è che le priorità del premier e della sua squadra siano da un lato la tutela della salute, che gli va riconosciuto e gli fa onore, dall’altro la crisi economica. Conte è interessato a gestire e salvaguardare, giustamente, il sistema-Paese dal punto di vista della produzione e del lavoro. Dal punto di vista della cultura e del culto però si è forse dimenticato – o è stato insensibile o non è una priorità per lui – del fatto che la maggior parte dei cittadini italiani sono credenti e fanno parte di un pluralismo religioso che include 2 milioni di musulmani».

Eppure il premier è cattolico e credente, e comunque ha aperto un dialogo con la Cei

«Sì, soltanto che la Cei rappresenta in maniera autorevole e autentica la maggioranza del popolo cattolico, ma sarebbe una grande occasione se il primo ministro si aprisse a una concertazione allargata al pluralismo religioso e quindi non negasse a tutti i credenti la possibilità di andare in maniera contingentata e a distanza di sicurezza a pregare».

Avete intenzione di rivolgere il vostro appello al premier?

«Ho intenzione di mandare al presidente del consiglio una lettera, per esprimere il mio disappunto, per avviare una concertazione in nome della trasparenza e del dialogo e per proporre delle soluzioni. Per farle un esempio molto concreto la settimana scorsa è iniziato per noi il mese del Ramadan, un mese di digiuno diurno. Normalmente il precetto religioso prevede un’interruzione del digiuno al tramonto, seguito da una preghiera comunitaria. Noi giustamente abbiamo seguito le disposizioni e abbiamo chiuso le moschee per evitare gli assembramenti. Il Ramadan finisce la penultima settimana di maggio ed è stato bello fino a ieri far sperare alla comunità che magari da qui al 20 maggio ci sarebbero potute essere occasione per un momento di conforto e di riunione, sempre nella garanzia delle distanze di sicurezza».

In che modo si possono svolgere le funzioni religiose in sicurezza? 

«Nel nostro caso vedo esempi che già vengono praticati in Indonesia, in Malesia. L’ingresso deve essere contingentato e fatto in modo proporzionale, a una distanza di sicurezza dei fedeli nei relativi luoghi di culto. Paradossalmente nelle piccole moschee sarebbe più facile gestire questa cosa perché si dà un numero massimo di affluenza. Quindi, ingressi e uscite contingentate. In secondo luogo, la nostra preghiera prevede un contatto per file parallele – non abbiamo banchi – e ho visto nel sud-est asiatico e nei paesi a maggioranza islamica, che è possibile distanziare un fedele dell’altro. C’è soltanto una recitazione, che può essere fatta con le mascherine e i guanti. Alla fine della preghiera i fedeli, anziché farsi un saluto con la mano, si portano la mano al cuore ed escono. Questo è l’oggetto della mia proposta al presidente Conte per qualche preghiera negli ultimi giorni di Ramadan, o per un graduale ripristino della normalità del rapporto comunitario».

Qual è il sentimento diffuso nella sua comunità dopo l’annuncio di ieri?

«Prima del decreto di questa sera era di tutelare la salute. C’è stata una grande accettazione di questa disposizione ormai da quasi due mesi. L’unico momento di difficoltà per la nostra comunità sono stati i funerali. Nel caso di musulmani stranieri non era più possibile fare il rimpatrio delle salme. I momenti più tristi sono stati i saluti strozzati, i momenti di impossibilità di salutare e di fare la preghiera funebre del defunto. Ma siamo riusciti, in un certo senso, a rispettare l’essenziale, non soltanto in Italia ma anche in Europa. Adesso la cosa nuova è che siamo durante la fase di Ramadan, un momento dell’anno che è particolarmente intenso e che dura un mese. C’è un po’ di dispiacere di aggiungere alla mancanza di preghiera di venerdì anche l’impossibilità di accedere a delle serate di conforto spirituale e comunitario. Però, ecco, c’è ancora la speranza di poter concludere questo mese con un riscontro, potrebbe essere un motivo di sollievo per tutta la nostra comunità».

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