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La Russia è al centro della pandemia europea. Le denunce degli studenti di medicina: «Costretti a lavorare nei reparti Covid»

09 Maggio 2020 - 06:52 Olga Bibus
Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le proteste in Russia. E si aggiunge il malcontento degli studenti di medicina che denunciano di essere stati «costretti a prestare servizio negli ospedali Covid, senza tutele, protezioni e formazione»

È passato un mese da quando le immagini delle ambulanze ferme in coda in Russia per entrare in pronto soccorso hanno fatto il giro del mondo: l’emergenza Coronavirus aveva toccato anche la Federazione. In un primo momento infatti era sembrato che la Russia fosse riuscita a uscirne indenne, complici dati ufficiali confortanti e dichiarazioni rassicuranti delle autorità russe.

Oggi la Russia, diventata il quinto Paese più colpito nel mondo, è considerata «il nuovo epicentro del virus in Europa». Mosca, stando ai dati ufficiali, conta più contagi dell’intera Cina. Nelle ultime 24 ore nella Federazione sono risultate positive altre 10.699 persone, il totale è salito così a 187.859. Di questi la metà sono nella capitale che conta 98.522 casi, 5.846 soltanto nelle ultime 24 ore. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nell’Europa dell’Est l’epidemia è iniziata in ritardo rispetto all’area dell’Ovest. Per alcuni esperti, però, in Russia c’è stata una escalation di contagi anche a causa di un’iniziale sottovalutazione del fenomeno.

Le date sono significative. Il primo caso nel Paese risale a fine gennaio. Due mesi dopo, a marzo, Putin assicura di avere «la situazione sotto controllo». Ma a fine marzo è costretto a chiudere il Paese. Sono passati due mesi dal “paziente uno”. Circa 60 giorni in cui, mentre la stampa internazionale citava la Russia come esempio, gli scienziati avanzavano dubbi sui numeri diffusi dalle autorità.

In una videoconferenza del primo aprile, Putin ha chiesto ai membri del governo di dire «la verità su quello che sta succedendo nel Paese». Una frase – come fa notare a Vox Judy Twigg, esperta del sistema sanitario russo dell’Università della Virginia – che sembra un’implicita ammissione del fatto che fino ad allora la verità non era stata detta.


Ansa | Ambulanze in coda in attesa di entrare nell’ospedale di San Pietroburgo

Putin e il “costo” dell’emergenza

Oggi Putin ammette che la situazione è grave, che i dispositivi di protezione scarseggiano e che «il peggio deve ancora venire». Nel frattempo i contagi hanno toccato anche il governo dove l’ultimo ad ammalarsi è stato il premier Mikhail Mishustin. Mosca ha deciso di prolungare il lockdown fino a fine mese, con qualche tiepida riapertura dal 12 maggio di alcune attività produttive e dei cantieri.

Putin stesso sta pagando il prezzo di quella che molti russi ritengono una cattiva gestione dell’emergenza: il suo consenso è al minimo. Il tasso di popolarità è sceso al 58%, (dal 63% dello scorso marzo), quello di fiducia al 28%, secondo un sondaggio realizzato dall’istituto indipendente Levada Center. Decine di persone in questi mesi hanno manifestato, fisicamente e online, contro la gestione dell’emergenza.

La denuncia dei giovani medici

Nelle ultime settimane, in particolare, hanno protestato medici e infermieri, «mandati al fronte senza munizioni». Alcuni di loro sono morti misteriosamente, l’ultimo, Alexander Shulepov, è caduto da una finestra. A fare da portavoce a queste proteste è una dottoressa, la 36enne Anastasia Vasilevna, fondatrice di Aljanz Vracej (alleanza dei medici), che sin dall’inizio dell’epidemia ha denunciato la gravità della situazione. E ancora oggi, mentre i contagi giornalieri sono ormai sopra i 10mila, continua a sostenere sulla pagina You Tube dell’associazione che le autorità «non ci stanno dicendo tutta la verità».

L’ultima denuncia portata alla luce da Anastasia Vasilevna riguarda gli studenti di medicina. La dottoressa ha raccolto una serie di testimonianze di ragazzi che affermano di essere stati quasi «costretti» dalle loro università a prestare servizio nei reparti Covid degli ospedali «senza tutele, protezioni adeguate e formazione».

«Quando abbiamo avuto l’incontro informativo sui tirocini, il prorettore ci ha informati che tutti noi eravamo destinati a quei reparti, ma chi tra noi era più a rischio, avrebbe potuto svolgere il tirocinio nelle cosiddette “zone pulite”, dove però il rischio è comunque alto» perché lì si trovano i pazienti non testati e che potrebbero comunque risultare positivi. Ne è prova la regione russa di Jacuzia dove 64 studenti di medicina sono rimasti contagiati.

Gli studenti, spiega Anastasia Vasilevna, non solo vengono «costretti a prestare servizio in questi reparti», ma nessuno garantisce loro protezioni, non hanno diritto a risiedere negli alberghi dedicati ai medici che sono a contatto con i malati Covid – come disposto dalle autorità russe – e per spostarsi da una parte all’altra della città prendono dunque trasporti pubblici, aumentando il rischio di contagio.

La possibilità per gli studenti di prestare servizio nei reparti Covid è stata aperta da un’ordinanza del ministero dell’Istruzione datata 27 aprile. L’ordinanza, in sostanza, chiede ai rettori di modificare i programmi di tirocinio delle università per permettere appunto agli studenti, su base volontaria, di eseguire il periodo di praticantato a contatto con pazienti affetti da Coronavirus. Subito però sono arrivate alcune denunce di studenti, secondo cui non sempre è stato rispettato il principio di “volontarietà”.

In alcuni casi ci sarebbero state minacce di «bocciatura» da parte di alcune università qualora gli studenti si fossero rifiutati di prestare servizio. La scelta, spiegano gli studenti, in realtà non è tra “reparti Covid” e “reparti non a rischio”, ma tra “zone sporche” e “zone pulite” degli ospedali Covid, dove però ci sono non i pazienti risultati negativi, ma quelli “non positivi” e che quindi potrebbero rivelarsi tali. Inoltre, denunciano i ragazzi, non sono le università a fornire i dispositivi di protezione, ma i singoli ospedali, dove i Dpi mancano per i medici in ruolo, «figuriamoci per noi studenti». 

In alcuni casi, tute e mascherine sono state fornite solo agli studenti che hanno prestato servizio nei cosiddetti “reparti sporchi”, di conseguenza chi lavora nei “reparti puliti” diventa un possibile veicolo di virus per se stesso, i suoi colleghi e i familiari. «Molti di noi vivono ancora con i genitori che hanno più di 50/60 anni e abbiamo paura per loro», racconta una studentessa del quinto anno di medicina all’emittente Nsn.

Per la prima volta in 20 anni la popolarità di Putin sta vacillando, a pesare sono anche le proteste dei sanitari, tanto che quella dei camici bianchi è stata già definita come «la nuova opposizione», in questo contesto si inseriscono anche le denunce degli studenti, capaci di usare la piazza della rete, l’unica di cui il presidente russo sembra avere paura, come aveva dichiarato anche l’esperto sulla Russia, Aldo Ferrari, commentando le nuove leggi sulla limitazione della libertà in rete.

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