Alberto Barbera, il direttore del Festival di Venezia: «La pandemia darà il twist per un cinema migliore» – L’intervista

Dai termoscanner ai controlli prima delle proiezioni, tutto è stato studiato nei minimi dettagli. «Non voglio guai», dice il direttore della rassegna

Nove del mattino. «Buongiorno, sono Alberto Barbera. So che mi cercava, mi scusi per l’ora ma ero un po’ preso». Come non credergli. Classe 1950, biellese di nascita, mentre dirige il Museo nazionale del Cinema di Torino, da nove anni cura «con un certo divertimento» la Mostra del cinema di Venezia. Quella di quest’anno è un’edizione inedita. Il Coronavirus non ha risparmiato neppure Venezia 77.


Rimane il red carpet, rimangono i flash abbaglianti dei fotografi e rimangono anche gli abiti d’alta moda. Ci sono sempre i taxi sull’acqua che da un canale all’altro traghettano le star (internazionali e non) venute a godersi la Biennale. E rimangono i film, i grandi protagonisti di questi dieci giorni di festeggiamenti. Sembra ci sia tutti. Poi, però, «le sale sono piene a metà».


ANSA/ETTORE FERRARI | Alberto Barbera e la presidente di giuria Cate Blanchett

Direttore, com’è questa Mostra?

«Straniante, alienante, specie quando si entra in sala. Le 1.400 poltroncine in velluto sono state dimezzate. Tra una persona e l’altra, nel pubblico, un metro – se non più – di distanza. Era un dovere, comunque, esserci e organizzare la Biennale di quest’anno».

È stato complicato gestire tutto?

«Abbastanza. Ci abbiamo messo dei mesi per stilare con la Regione Veneto dei protocolli di sicurezza che rendessero l’evento il più sicuro e blindato possibile».

Quali sono le misure prese per la Covid?

«Termoscanner, termometri manuali, barriere di plexiglas. Presenze e accrediti a metà della capienza originaria. Prima di ogni proiezione, chiunque è sottoposto a controllo. Anzi, quest’anno il controllo è doppio: quello antiterrorismo e quello anti Covid. Ho voluto che negli ambienti chiusi tutti indossassero le mascherine. So che non è piacevole, ma esigo si indossino anche in sala, durante le proiezioni».

ANSA/ETTORE FERRARI | Alberto Barbera e Pedro Almodovar

Anche gli eventi mondani e le feste serali sono stati banditi…

«Praticamente tutte, sì».

Praticamente?

«A meno che lo spazio per il party non sia effettivamente molto grande, ho preferito lasciar perdere. Mi sono concesso il minimo indispensabile, non voglio guai».

All’appello questa volta è mancato il solito parterre di stelle d’oltreoceano: a loro è precluso lo spostamento. C’è qualcuno, invece, che abbia disdetto all’ultimo per sopravvenuta paura da contagio?

«Per fortuna no, sono tutti temerari (ride, ndr). Temevamo potesse accadere, invece si sono mostrati tutti molto solidali con l’evento. Per ogni pellicola in gara, i cast, i registi, erano tutti presenti. Il bilancio per adesso è più che positivo. Ritengo sia un’edizione davvero speciale…».

Perché?

«Si respira un’aria diversa, nuova. Nella paura abbiamo trovato il modo per farci coraggio. La cerimonia di inaugurazione è forse stata la più toccante da quando dirigo questo festival. Dall’America addirittura hanno inviato filmati di incoraggiamento che abbiamo trasmesso. Già dal film con cui abbiamo aperto la mostra (Lacci di Daniele Luchetti, ndr) abbiamo capito che il mood era quello giusto, che eravamo felici nonostante il periodo che stiamo affrontando».

Insomma, avete appena cominciato, ed è già un successo?

«È impossibile accontentare i gusti di ognuno, questo è chiaro. Cerco sempre di scegliere i film da mandare in gara con più cura possibile. È un mestiere che mi affascina molto, ma non sono invincibile. Io faccio il possibile, di questo sono certo. E sono anche certo che il sentire comune sia stato positivo. Erano undici anni che non si apriva con un film italiano».

Ecco, a proposito di cinema italiano, qual è il suo stato?

«Certamente fino a un paio di anni fa, eravamo messi peggio. In questi ultimi anni, invece, ho visto un’evoluzione che mi ha sorpreso e non poco. Abbiamo anche registi emergenti che promettono bene, l’offerta è varia, le sceneggiature migliorano…».

Dice che possiamo giocarcela con i colleghi?

«Dico di sì, e dico anche un’altra cosa…».

Cioè?

«Che il Covid oltre che cambiare – questo è ovvio – il mondo del cinema, darà una spinta in avanti al modo di pensare il cinema. Direi che la pandemia, mostruosa per certi versi, darà il twist per un cinema migliore».

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