Coronavirus, i numeri in chiaro. L’infettivologa Taliani: «Non fatevi ingannare dai dati. È cambiato il modo di cercare i positivi»

I nuovi contagi restano sopra quota 1.500. Ma la professoressa dell’Università La Sapienza predica calma: «Fino a poche settimane fa non testavamo così tanti soggetti nelle città. E ora i malati, a parità di sintomi, vanno di più in ospedale»

Da poco meno di due settimane siamo ormai stabilmente attorno a quota 1.500 nuovi casi di Coronavirus al giorno. Oggi, l’incremento giornaliero dei positivi è pari a 1.501 nuove infezioni, ieri i contagi erano stati 1.616, due giorni fa 1.597. Bisogna tornare all’inizio del mese per trovare – a parità di tamponi – un totale inferiore a quota 1.000. Però, secondo la professoressa Gloria Taliani, l’aumento è dovuto semplicemente al fatto che «ne cerchiamo di più».


«Se guardiamo un altro dato – continua Taliani – che è quello del rapporto tra i positivi e il numero dei tamponi effettuati nelle persone mai testate prima, è costante. Ed è quello il vero elemento di valutazione, perché se abbiamo un numero di positivi sul numero dei testati che è costante, il fatto che sono aumentati i dati vuole dire solo che è aumentato quello dei soggetti testati. Noi questa estate nelle città non li andavamo a cercare, semplicemente perché erano in altri luoghi in vacanza, dove l’abitudine al test non è quotidiana».


Però aumenta anche il numero di persone ricoverate in terapia intensiva. 

«Si, l’incremento sulle terapie intensive c’è, anche se è meno spiccato rispetto ai reparti di degenza. Di nuovo, se lei trova tracce di Coronavirus in una persona con pochi sintomi ma di una certa età, lo lascia a casa? Certo che no. Ma in linea di principio questo nuovo incremento significa soltanto che stiamo tornando al regime invernale di funzionamento del Paese, in cui i malati vanno in ospedale anziché stare a casa, anche a parità di sintomi».

Quindi anche il numero di persone ricoverate cresce perché aumentano i tamponi?

«Certo, il numero di tamponi effettuati sul numero di pazienti mai testati prima è aumentato – ed è in costante crescita. Ed è naturale, quindi, che aumenti anche il numero di pazienti positivi e il numero dei persone ricoverate».

Oggi la Lombardia ha di nuovo segnato l’incremento più alto. Possiamo dire che è ancora l’epicentro dell’epidemia?

«Secondo me no, per una semplice ragione. Ormai tutto il territorio nazionale è omologato in termini di probabilità che il virus – essendo penetrato in ogni regione – segua un suo iter. Non c’è più un epicentro specifico, ma una variabilità che è casuale. Il fatto che la Lombardia abbia più casi è semplicemente frutto della variazione dei numeri che è il dato costante».

Ma la Lombardia ha anche un numero di persone attualmente positive molto più alto rispetto ad altre regioni. È sbagliato pensare che ci sia un collegamento con l’aumento nei casi?

«Fondamentalmente il numero dei casi è in correlazione al numero degli abitanti. Quello che bisognerebbe guardare è il rapporto tra le persone che vivono nella stessa regione, quindi la frazione di positivi sul totale degli abitanti delle singole regioni. Complessivamente la Lombardia è all’1% sulla popolazione, il Piemonte è allo 0,7%, l’Emilia-Romagna all’0,7% e il Lazio alle 0,2%. In Lombardia effettivamente il tasso è elevato: è una regione molto popolosa, ma soprattutto ha una densità abitativa in aree ristrette in cui la circolazione del virus è elevata».

Perché si muore di meno rispetto a prima? 

«Perché si fa la diagnosi prima. L’aumento di morti durante il periodo tragico in cui abbiamo visto passare il virus era dovuto al fatto che i pazienti arrivavano in ospedale, non istruiti sul fatto che il virus potesse essere mortale, quando stavano molto male. Adesso invece arrivano presto. Anche se le terapie che abbiamo sono poche al momento, però ci sono terapie supportive, che prima si fanno, meglio funzionano. Non sono di grandissima potenza, ma tutte insieme, fatte precocemente, portano a un esito migliore. Quindi la severità della malattia oggi è il risultato di una diagnosi più precoce».

Da questo punto di vista fa meno paura.

«Se noi vogliamo parlare in termini di mortalità cruda e di mortalità su casi infettati, certo. È un dato costante. D’altra parte la ridotta percezione della gravità è in stretta connessione al fatto che le persone in giro tendono ad abbassare il livello di attenzione, non indossando la mascherina e non mantenendo le distanza di sicurezza».

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